Un bimbo lasciato solo fuori dal cancello della scuola ad aspettare l’autobus, è investito e muore. La responsabilità ricade sull’insegnante che aveva in affidamento l’alunno e sul comune.
La Cassazione ha ribadito e confermato il suo orientamento. Non poteva essere altrimenti, considerando la condizione giuridica dell’alunno (minore, cioè “incapace di intendere e volere”) Quindi è una sentenza “normale”. Niente di nuovo sotto il sole!
L’insegnante ha l’obbligo “di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandando al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardino”.
La sentenza sconfessa la tesi del Miur: “non si estende l’obbligo di vigilanza sui minori sia da parte del corpo docente sia da parte del personale dipendente dal Ministero, in quanto l’amministrazione scolastica assume la custodia degli alunni all’interno della sede nello svolgimento delle attività scolastiche e non, come nel caso di specie, in luoghi di pertinenza dell’istituto scolastico”.
Sui media sociali la sentenza si è diffusa rapidamente, grazie alla sua pubblicazione in diversi siti. Molte reazioni di colleghi esprimono meraviglia, stupore! Difficoltà a comprendere una sentenza fuori dalla realtà. “Tutto ciò è assurdo!“, “Vediamo di non esagerare, per favore!!!!!“, “Questi giudici, a tutti i livelli, hanno manifestato una superficialità incomprensibile”.
Altri commenti esprimono valutazioni senza alcun fondamento giuridico “la patria potestà non esiste più” (nel caso specifico la responsabilità è dell’insegnante. Cosa c’entrano i genitori?).
Un altro commento certifica una lettura superficiale della notizia: “Bisogna vedere concretamente cosa è avvenuto, assai generico l’articolo. Per esperienza personale posso dire che durante la mia carriera come preside due alunni prima di entrare in classe rimasero uccisi in due diversi incidenti stradali. La scuola aveva provveduto ad assicurarli anche in itinere. L’assicurazione pagò” (il caso è diverso. Il bambino non sta entrando, bensì è uscito dalla scuola). E qui mi fermo!
Il quadro giuridico.
Gli insegnanti quasi sempre hanno dei minori in custodia.
Con minore si intende un soggetto incapace di intendere e volere. Per dirla con altre parole, il soggetto non ha la maturità psichica per comprendere e valutare gli effetti dei suoi comportamenti. Teoricamente questo vale per tutti i ragazzi fino al compimento del diciottesimo anno di età.
In realtà l’assoluta incapacità di intendere e volere esiste penalmente fino al quattordicesimo anno (art. 97 codice penale) . Questo spiega l’esplicito riferimento nella suddetta sentenza ad una vigilanza continua anche per i ragazzi delle medie. Dai quattordici ai diciotto anni poi questo profilo si attenua, lasciando alla valutazione del giudice il caso specifico (art. 98 c.p.).
Senza soluzione di continuità. L’ art. 2048 nei comma 2 e 3 recita: “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.
Ne discende che verso i minori, tutti i minori (il codice non presenta “gradazioni di profili” affidati agli insegnanti, contraddicendo gli art. 97 e 98 c. p.) grava sugli insegnanti una responsabilità civile e penale. Quindi il criterio che questa responsabilità non prevede “buchi”, “zone franche”(bagni…), possiamo dirla in termini tecnici è senza soluzione di continuità, in quanto la minore età è uno “stato” e non è una variabile dipendente dalle situazioni.
Questo si traduce che i minori (almeno fino a quattordici anni, ma è tutto relativo in quanto dipende dalla valutazione del giudice) devono essere consegnati ai genitori o a una persona maggiorenne autorizzata da loro.
Le liberatorie non esentano gli insegnanti dalla responsabilità, anzi in sede dibattimentale possono essere portate come prova in quanto implicitamente è un’ammissione dell’esistenza di un obbligo di vigilanza del docente nei confronti del minore. Il diritto alla tutela e protezione del minore non è un “diritto contrattualizzabile” tra scuola e famiglia, in quanto già definito da normativa superiore.
La sentenza ribadisce la prevalenza della sicurezza e della protezione del minore. Al giudice la pedagogia o l’autonomia interessano poco. Egli non legge M.Montessori, ma solo i codici e le sentenze. “Dura lex, sed lex“.
di Gianfranco Scialpi
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