Home I lettori ci scrivono Cultura scientifica versus cultura umanistica: un falsa dicotomia

Cultura scientifica versus cultura umanistica: un falsa dicotomia

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Come ben sappiamo, già da alcuni mesi le nostre scuole sono impegnate a realizzare i numerosi interventi previsti dai finanziamenti PNRR: tra questi molti volti a promuovere l’integrazione, all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici, di attività, metodologie e contenuti finalizzati a sviluppare le competenze STEM, digitali e di innovazione. Investimenti che a volte hanno destato timori e non poca preoccupazione, soprattutto da parte di coloro che manifestano ancora una visione “tradizionalista” dei saperi e della loro trasmissione.
In risposta a tali dubbi e scetticismo, negli ultimi anni all’acronimo STEM è stata inserita la lettera A (Art), con la deliberata intenzione di volere integrare le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica con le Arti e le discipline Umanistiche (STE-A-M), riconoscendo che queste aree del sapere possono essere interconnesse e che l’interdisciplinarietà può portare a soluzioni più innovative e creative per i problemi contemporanei.

Collegamento già operato in maniera visionaria dal nostro Galileo Galilei nel ‘600: con lui infatti la scienza trova una nuova forma letteraria per esprimersi: la prosa scientifica. Nel suo Dialogo appaiono evidenti l’idea del decoro, della misura, e la ricerca della forma il più possibile equilibrata. I suoi discepoli erediteranno da lui dunque non solo la metodologia scientifica, ma anche lo strumento espressivo di un nuovo tipo di prosa, caratterizzata da efficienza e concretezza. Sappiamo inoltre come Galileo Galilei avesse una profonda predilezione per la poesia di Ludovico Ariosto, autore del poema Orlando Furioso. Scrive lo stesso in una lettera del 1632: “Lo viddi, anzi lo devorai, per dir così con li occhi: et invero sento in me, in più volte ch’ho ripreso la lettura di quello, l’effetto che mi ricordo avere esperimentato nel leggere il Furioso, che dovunque io dia principio a leggere, non posso ritrovarne il fine”.

E dunque cultura umanistica e sapere scientifico non intese come compartimenti stagni ma vasi comunicanti. L’interdisciplinarietà tra materie umanistiche e scientifiche favorisce infatti un approccio olistico ai problemi: molti problemi complessi richiedono infatti una comprensione approfondita sia delle dimensioni umane che scientifiche. L’interdisciplinarietà consente di esaminare un problema da diverse prospettive, consentendo una comprensione più completa e integrata. L’interazione tra diverse aree del sapere può stimolare la creatività e portare a soluzioni innovative. Basti pensare ad esempio che l’intelligenza artificiale di Chat GPT (molto in voga tra i nostri giovani studenti e non solo), per produrre un semplice testo, non fa altro che applicare le stesse metodologie della filologia classica (sia gli algoritmi di IA che i filologi classici operano infatti una sorta di “collatio”, un confronto tra testi e varianti linguistiche per cercare quanto più possibile di ricavare un testo corretto). L’IA utilizza la probabilità statistica di ricorrenza di un testo, l’uomo invece capacità di interpretazione e spirito critico. Scrive Daniele Barca nel suo studio “Libri di testo e contenuti didattici digitali. Un dialogo possibile? (Carocci Editore, 2023)”: “L’uomo, nel processo filologico, fa una cosa che è l’interpretazione. In sostanza il bug di senso che può avere un testo collazionato dall’Intelligenza Artificiale può essere colmato solo da un uomo, che pensa e decide, come accade in filologia. La macchina offre solo soluzioni in più e magari scarta le meno probabili (… ) non solo. Volendo potrebbe anche, a partire da una base di testo dantesco inventato da Chat GPT , fare una poesia come Dante. Chat GPT lo fa, ma non bene. Perché gli manca l’inventio (quella capacità a metà tra creatività e interpretazione che è degli artisti o degli scienziati). E non solo, Chat GPT non ha i sentimenti e le emozioni…

Integrare conoscenze umanistiche e scientifiche può portare a sviluppare soluzioni più efficaci per i problemi del mondo reale ma anche aprire le porte ad altre “visioni”. Pochi sanno ad esempio che Steve Jobs nei suoi primi anni universitari frequentò un corso di calligrafia. Nello studio di questa disciplina probabilmente il giovane Jobs intuì quel delicato equilibrio tra bello e utile, tra forma e funzione che poi è risultato essere il valore aggiunto del design dei suoi prodotti tecnologici. Dice lo stesso Steve Jobs a proposito: “Gran parte delle cose in cui mi sono imbattuto per caso al Reed College e le riflessioni che mi hanno stimolato, si sono rivelate inestimabili nella mia vita… Nulla di tutto questo sembrava avere una qualche applicazione pratica immediata nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo Mac, questa esperienza mi tornò utile”.

L’interdisciplinarietà facilita inoltre la comunicazione e la comprensione tra persone provenienti da diverse aree di competenza. Questo può favorire la cooperazione e la collaborazione in progetti di ricerca e sviluppo. Pensiamo ad esempio a quei tre giovani studenti universitari che sono riusciti a srotolare virtualmente e analizzare i papiri accartocciati e carbonizzati di Ercolano; sono partiti dalle scansioni CT (tomografia computerizzata a raggi X) di un antico papiro per poi passare alla sua segmentazione (tracciando i livelli del papiro) e infine riuscendo a identificare i punti in cui si trovava l’inchiostro. Successivamente alcuni paleografi greci sono riusciti a ricostruire il testo originale scritto in greco antico e a tradurlo.

Bisogna dunque che la scuola non tema l’innovazione con prese di posizione conservatrici e anacronistiche; lo studio interdisciplinare di più discipline può arricchire l’esperienza formativa degli studenti, consentendo loro di sviluppare una visione più ampia del mondo e di acquisire competenze trasversali utili in una vasta gamma di contesti.

Giuseppe Licciardi