Lascia molto perplessi la polemica sulla questione del curriculum dello studente che si sta sviluppando in queste ore.
Partiamo dalla dichiarazione del sottosegretario Barbara Floridia (M5S) che boccia senza possibilità di appello la novità voluta dal ministro Bianchi: “Non possiamo consentire l’ingresso di attività svolte privatamente e dunque a pagamento, perché questo rappresenterebbe una discriminazione verso chi non può permetterselo”.
D’altronde già due settimane fa Ernesto Galli Della Loggia, in un suo editoriale sul Corriere, scriveva che “la nuova maturità con il curriculum sarà un po’ classista”.
Secondo Galli Della Loggia la filosofia del curriculum è chiara; si tratta infatti di un documento che dovrà evidenziare il possesso “non dei cognitive skills (le capacità cognitive) bensì dei character skills (gli aspetti della personalità); e cioè “la ‘coscienziosità’, la ‘capacità di collaborare’, l’’apertura alle esperienze’, lo ‘spirito d’iniziativa’, insomma tutte le qualità considerate positivamente dai questionari di una qualunque direzione aziendale del personale che debba assumere un dipendente”.
La critica dell’editorialista è radicale (in altri tempi la si sarebbe definita “da sinistra”) perché il curriculum segnerebbe la sconfitta della scuola che fornisce strumenti culturali e di conoscenza e la vittoria della logica aziendalista.
Nel dibattito è intervenuto persino il presidente della Corte Costituzionale Giancarlo Coraggio che ha sottolineato che il curriculum “suscita qualche giusta preoccupazione” e che “c’è qualche problema nel rischio di diseguaglianza, di favorire i più ricchi, che possono mandare i figli all’estero”.
Anna Maria Poggi, docente di diritto costituzionale, ha invitato il Ministro a “chiarire non solo al Presidente della Corte ma a tutti il perché chiedere che lo studente (e la scuola) compilino un curriculum contenente informazioni sulle attività extrascolastiche non produce disuguaglianza tra gli studenti, ma costituisce (dovrebbe costituire) una modalità di aiuto allo studente stesso (parliamo di ragazzi di 17-18 anni!) per mettersi in relazione con se stesso (la percezione di ciò che fa e che non fa) e con il mondo”.
Il dibattito è aperto e forse non sarà facile trovare una riposta sicura e univoca, anche perché ci sembra che il problema principale sia a monte.
E’ giusto preoccuparsi di non evidenziare più di tanto le differenze esistenti nelle competenze informali degli studenti, ma il tema vero, non dimentichiamolo, sta scritto nell’articolo nella nostra Costituzione, in parte nell’articolo 33 (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”) e in parte nell’articolo 3 (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”).
Preoccuparsi del curriculum non può essere un alibi per non occuparsi a fondo delle gravi conseguenze che hanno le disuguaglianze sociali.
Disuguaglianze che vanno ben al di là delle esperienze extrascolastiche e riguardano, molto banalmente, il numero dei libri che ogni ragazzo ha in casa, la disponibilità di strumenti di studio (PC, tablet, e così via) o anche – banalmente – di uno spazio tranquillo dove poter leggere e studiare.
Si tratta di dati che non entrano nel curriculum ma che “segnano” il percorso scolastico (e soprattutto quello di vita) di ogni alunno fin dall’istante in cui entra nel sistema scolastico.
Ecco perché ci piace poco la conclusione alla quale perviene Barbara Floridia che afferma: “Ovviamente poi, per ciò che attiene il proprio curriculum privato, quello da spendere per la ricerca di occupazione, ciascuno sarà libero di inserire ogni attività abbia svolto”.
Come dire: a scuola le disuguaglianze sociali vanno in qualche modo “nascoste” o “camuffate”, ma dal momento in cui si entra nella vita reale, ognuno si comporta come può e come vuole. Forse Floridia non voleva dire questo, ma resta il rischio che le sue parole vengano interpretate come un inno alla filosofia della libera competizione.
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