Il Safer Internet Day, che si è celebrato in tutto il mondo lo scorso 8 febbraio, con manifestazioni molto ricche anche in Italia, ha nuovamente riportato alla ribalta la pericolosità e i rischi connessi ad un uso, quanto mai dilagante in questi ultimi anni di pandemia, della rete da parte dei minori. E fa riflettere e preoccupare il fenomeno emergente di cyberbullismo, al quale il Wall Street Journal ha di recente dedicato l’attenzione, noto nel mondo nordamericano come “spilling the tea”. Si tratta di quella che in molti, non solo negli Stati Uniti, ritengono essere la nuova forma di cyberbullismo, che vede tra i protagonisti e le vittime anche bambini e bambine delle scuole primarie.
L’autrice dell’articolo, Julie Jargon, spiega che si tratta di creare e diffondere pettegolezzi (dal significato originale dell’inglese spilling the tea, cioè versare il tè), che in pratica vuol dire favorire le dicerie e prendere di mira in particolare di compagni di scuola.
I social maggiormente coinvolti sono Instagram, Snapchat e TikTok, che consentono di veicolare i messaggi bullizzanti in modo quasi del tutto anonimo, visto che per esempio, su Snapchat i messaggi scompaiono poco dopo e su TikTok ci si basa su video. Coloro che sono presi di mira vengono travolti da foto, notizie false e derisorie, che spesso hanno a che fare con la sessualità. Vengono postate immagini che partono dalla presa in giro dell’aspetto fisico, il color dei capelli per esempio, fino a diffondere la voce che qualcuno stia trasportando nel proprio zaino della droga.
Negli Stati Uniti il fenomeno è ormai al centro dell’attenzione di scuole, famiglie, educatori e il dibattito per definire chi ha la responsabilità di arginarlo è molto acceso. Alcune scuole, secondo quanto si legge sul WSJ, hanno deciso di occuparsi delle attività on line degli studenti, anche fuori dell’orario scolastico, e stanno cominciando a segnalare ai genitori gli account incriminati dove hanno luogo le attività di gossip. L’età dei minori presi di mira fa crescere ancor più l’allarme, visto che secondo molti esperti, si tratta di bambine e bambini che spesso vengono coinvolti in risse, atti di vandalismo e poi filmati, al fine di diffondere i video di cui sono stati forzati protagonisti. Un esempio tra i tanti è quello di una scuola di San Diego, dove gli atti di bullismo avevano l’obiettivo di scatenare risse tra i giovani studenti, per poi filmarle e diffonderle sui social: sono nati in poche ore diversi account su TikTok e Instagram dove sono comparsi i filmati sulle risse.
Sono in molti, tra insegnanti e genitori, oltre che associazioni come la statunitense National Educational Association, che da anni si occupa dei diritti dei minori, che chiedono ai responsabili dei social media di scendere in campo, per poter creare le condizioni che limitino l’uso delle piattaforme. Uno studio sull’uso di internet da parte degli adolescenti australiani, pubblicato l’anno scorso dall’Australian eSafety commissioner, ha rilevato che il 57% degli adolescenti australiani usa Instagram, mentre il 30% ha riferito di essere stato contattato da uno sconosciuto e il 20% ha riferito di aver ricevuto contenuti inappropriati e indesiderati sui siti di social media che hanno usato. Instagram, secondo solo a SnapChat nella fascia demografica in questione, è il sito più amato dai teenagers e per i cyberbulli sembra essere la piattaforma perfetta per creare account anonimi e partire con le azioni bullizzanti. È facile infatti creare profili e usarli e molti genitori non sono consapevoli di ciò che accade sulla piattaforma.
Per questo è scesa in campo Liza Crenshaw, portavoce di Meta, il nome del gruppo aziendale di Mark Zuckerberg, che ha chiamato in causa Snapchat e TikTok, e ha sollecitato la creazione di regole, che facilitino il controllo degli adulti, genitori e insegnanti.
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