Internet è una grande risorsa, ma ci sono dei rischi legati ad un uso improprio di questo strumento: tra questi c’è il cyberbullismo, cioè l’uso delle nuove tecnologie per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o escludere altre persone.
Per 8 ragazzi su 10 non è grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social si può. Gli attacchi verbali in rete non sono considerati gravi perché non vi è violenza fisica. La maggior parte, 7 su 10, prende di mira l’aspetto fisico, l’abbigliamento e i comportamenti della vittima, convinti che il malcapitato non avrà alcuna conseguenza dagli attacchi. Il dato emerge da una ricerca realizzata dall’Università “La Sapienza” e resa nota durante il convegno organizzato dal Moige con la Polizia di Stato, insieme alla Fondazione Vodafone Italia e Trend Micro per un uso responsabile della rete.
La ricerca, condotta su 1.500 ragazzi delle Scuole Secondarie di primo e secondo grado, rileva un generale atteggiamento di sottovalutazione degli effetti dei comportamenti in rete. L’82% non considera grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social. L’86% ritiene che le conseguenze per la vittima non siano gravi e che, considerato che non si dà luogo a violenza fisica diretta, l’atto aggressivo verbale può essere considerato non grave e irrilevante.
I temi sui quali le condotte aggressive si concentrano riguardano: l’aspetto fisico, comportamenti di chiusura, di timidezza, elementi di non aggregazione a gruppi forti, l’abbigliamento, la scarsa disinvoltura, la carenza di coraggio, la non propensione verso le trasgressioni, aspetti che riguardano la religione, condotte aderenti alle regole, dipendenza da genitori, il “mostrarsi paurosi”.
Per combattere il cyberbullismo nasce un progetto di prevenzione che coinvolgerà 40.405 studenti e più di 80.000 tra docenti e genitori, presenti in 114 scuole medie di 15 regioni. Con attività educational interattive, materiali didattici e open day sarà promossa una maggiore consapevolezza delle problematiche legate all’utilizzo improprio del web. L’azione di sensibilizzazione e di prevenzione si realizzerà attraverso interventi formativi e informativi: tra cui piattaforma educativa, kit didattico e App.
Il presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo, a margine del convegno, lancia una proposta: “L’età di chi naviga in Internet deve essere riconoscibile. Nella rete – ha spiegato Caffo – non si ha età. E sul web ci sono anche contenuti altamente tossici. E’ vero che deve essere libera, ma i bambini hanno diritto a essere tutelati e quindi ci deve essere la possibilità di riconoscere l’età di chi naviga. Questa è una battaglia da affrontare”.
Per Caffo è prioritario che il Parlamento approvi definitivamente la legge sul cyberbullismo (approvata dal Senato e che ora torna alla Camera, ndr): “i ritardi su questo provvedimento sono inaccettabili” ha sottolineato, denunciando allo steso tempo che “le competenze su questi fenomeni sono ancora troppo frammentate tra i vari Ministeri”.
A Caffo risponde il garante della Privacy, Antonello Soro: “L’idea di rendere riconoscibile su Internet l’età di chi naviga “è una soluzione convenzionale e di difficile attuazione”. Soro ha spiegato che “è difficile stabilire l’identità di chi è in rete e sarebbe facile eludere i criteri di accesso. I sistemi di accertamento potrebbero essere facilmente aggirabili”. Insomma, si tratta di “soluzioni tecnologicamente vulnerabili”.
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