Il 10 maggio scorso si è concluso a Milano il Convegno nazionale promosso dall’Ufficio per l’educazione, scuola e università e dal Servizio nazionale per l’Irc della Cei .
A trarre le conclusioni del Convegno che ha avuto come punto di riferimento la figura di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana, sono stati i due responsabili nazionali degli Uffici, Ernesto Diaco per la scuola e don Daniele Saottini per l’Irc.
Sei parole sono state indicate: “cultura”, perché questo significa per la Chiesa fare scuola. Creare cultura affinché le giovani generazioni possano costruire il loro futuro; «formazione», intesa come «la capacità dei docenti di avere uno sguardo sui propri studenti partecipe e attento, come ci ha suggerito nel suo intervento Alessandro D’Avenia»; «comunicazione», che «deve avvenire tra noi, in primo luogo, e poi con il mondo esterno affinché si comprenda l’agire della Chiesa nel campo educativo». E non si può educare se non passando «attraverso la “bellezza”», ma anche – quinta parola – «ricercando “la giustizia”, che è il bene comune, anche nell’assumersi responsabilità in fase organizzativa della scuola stessa». Infine, ma non per importanza, la parola “comunione», che « camminare insieme, dando vita a una alleanza pastorale tra i settori per lavorare insieme».
Nella prima giornata del Convegno nazionale, la relazione di apertura era stata affidata al docente scrittore Alessandro D’Avenia. A colpire molto la platea dei presenti, scrive L’Avvenire, l’invito a porre tantissima attenzione al momento dell’appello in classe. «Una mia studentessa – ha raccontato – mi ha domandato perchè perdessimo così tanto tempo a fare l’appello. Le ho risposto che quel momento era addirittura più importante della lezione stessa».
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Non una provocazione, ha spiegato D’Avenia, ma una verità: «Non immaginate quanto uno adolescente resti colpito dal fatto che il proprio insegnante facendo l’appello lo guardi diritto negli occhi e dimostri di accorgersi di lui». Ecco allora emergere con prepotenza il tema della relazione tra docente e studente, dell’essere testimone credibile, anche nelle proprie debolezze, verso i propri ragazzi in classe. «Oggi i ragazzi cercano un senso nella loro vita, immersi come sono in un eterno presente, che anche i vari social alimentano», ha commentato ancora il docente scrittore. E non si tratta di adempiere a una missione, ha aggiunto, ma di mettere in campo una professionalità di educatore e di insegnante. «Il nostro compito prioritario non è quello di raggiungere obiettivi e traguardi, bensì quello di porsi in relazione con gli studenti, aiutandoli nel loro cammino di crecita». Un compito affascinante, quanto complesso e difficile. Sicuramente una sollecitazione che i partecipanti al Convegno si sono portati a casa al termine dei lavori.
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