“All’età di questi ragazzi ho avuto due insegnanti che mi hanno fatto capire quanto la mia vita fosse eccellenza in quanto tale e non perché io fossi particolarmente dotato”.
Il primo fu “il professore di lettere. Mi prestò il suo libro di poesie preferito e mi disse: ‘Questo è il mio segreto, forse sarà anche il tuo’. Così sono diventato un insegnante. Il secondo è padre Giuseppe Puglisi, ucciso quando iniziavo il quarto liceo”.
Grazie a padre Puglisi “ho capito che essere insegnanti vuol dire mettersi al servizio degli altri. L’eccellenza è una chiamata maggiore a servire gli altri, non ad autoaffermarsi”.
“Dobbiamo uscire da quel provincialismo che ci porta poi ad occuparci nel nostro particolare, del piccolo interesse personale”.
Detto questo, “però, non c’è nessuno come gli italiani: non dobbiamo perdere quel tesoro di tradizione, cultura e storia che ci invidiano tutti. Imparare dagli altri, magari portandola fuori la nostra storia ma poi ritornare qua per restituire quello che l’Italia ci ha dato. Io sto bene qui e rimango qui”.
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