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“D” come Dispersione

Gli alunni che si perdono sono il vero problema della scuola. Cosa  e come fare per evitare che ciò avvenga?
La risposta è stata formulata come “progetto accoglienza”, e “relazione educativa”, che dovrebbero trovare come matrice comune la condivisione dell’idea di scuola-servizio che si contrappone all’idea di scuola-apparato, Si dovrebbe sostanziare di una vera professionalità agita che va ben oltre il semplice “mestiere” o le tecniche di insegnamento-trasmissione dei contenuti culturali. Perché usiamo tanti condizionali?
Perché la scuola, purtroppo, come ha scritto Don Milani,  è quello strano ospedale in cui si curano i sani e si mandano via gli ammalati” Spesso i ragazzi difficili vengono mal sopportati ed allontanati con note, sospensioni,  bocciature, tutti  strumenti tecnici della scuola “seria e selettiva”.
Certe espressioni: “Io lo boccio, accussì ci cummattinu l’autri” “Ti promuovo, solo se cambi scuola”, “Vattinni a travagghiari” traduzione dell’affermazione oratoria: “braccia rubate all’agricoltura” sono frequenti nelle aule scolastiche e nelle riunioni dei consigli di classe. E’ questo il frutto ed il beneficio dei tanti progetti per la dispersione, dei tanti contributi ministeriali destinati alle “scuole a rischio” ?
Nella designazione delle zone e delle scuole i sindacati hanno fatto da leoni, scegliendo a volte persone e realtà secondo criteri non sempre obiettivi, trasparenti e condivisi, come documentano le tante tensioni e lotte, oltre ai notevoli ritardi nella definizione dei progetti che  spesso vengono autorizzati ad anno scolastico inoltrato e mortificano lo svolgimento degli interventi didattici, ancorché pensati per il bene degli alunni.
Sono trascorsi quasi vent’anni dall’avvio del progetto pilota, promosso dal Ministero P.I. e che nella provincia etnea ha coinvolto inizialmente: l’area urbana dei quartieri San Cristoforo – Angeli Custodi; l’area agricola interna di San Michele di Ganzaria e l’area montana di Castiglione di Sicilia.
Negli anni successivi il progetto è stato esteso ad altre scuole del territorio in relazione alle percentuali degli abbandoni e del disagio scolastico.
Erano anni difficili, nei quali la cronaca quotidiana aveva come protagonisti dei ragazzi che, invece di avere un libro ed una penna in mano, avevano la pistola, uccidevano e venivano uccisi.
Al grido di violenza che ha sconvolto la Città, la Scuola ha tentato di rispondere attraverso una capillare azione d’intervento, coinvolgendo le altre istituzioni, sollecitando una sinergia di forze, di progettualità, di risorse, di presenze attive, di servizio, specie nei quartieri definiti “a rischio”. Si parlava allora di “mortalità scolastica”, termine che dava una sorta di fatalità, mentre il nuovo termine “dispersione”, centrando il problema, ha sollecitato una nuova proposta operativa del recupero, dell’inserimento, della guida, dell’accoglienza.
Furono costituiti osservatori d’area e l’Osservatorio provinciale per la dispersione, attivato presso il Provveditorato, con lo scopo di istituire l’anagrafe scolastica presso il Comune di Catania prima e gradualmente anche presso gli altri Comuni della provincia, ove la singola istituzione scolastica diventava centro propulsore d’iniziative e di  progetti mirati, così da ridurre, gradualmente, il fenomeno della dispersione, dell’abbandono scolastico e della devianza minorile.
Le molte iniziative realizzate nel corso degli anni testimoniano la buona volontà, la serietà e l’impegno di tanti operatori scolastici in questa diligente e professionale azione di recupero degli evasori dal servizio scolastico, specie nelle zone di frontiera e nei quartieri di periferia. Tale azione, avviata prima nella scuola dell’obbligo, ha gradualmente coinvolto anche la scuola secondaria di secondo grado, nella quale si registrava, specie nei primi anni, un’alta percentuale d’abbandoni ed il mancato rispetto dell’obbligo scolastico e formativo.
Mentre i progetti didattici d’accoglienza venivano attivati nelle singole scuole, a livello provinciale diversi Docenti venivano distaccati dal servizio per la dispersione. Si compilavano schede statistiche, progetti di ricerca-azione ed elaborazione dei dati; convegni, seminari, incontri di studio, corsi di aggiornamento anche con la collaborazione dell’U.S.L. dei Servizi sociali, del Tribunale dei Minori, dei Distretti scolastici, (quando erano attivi e funzionanti):    Furono redatte convenzioni con l’Università per l’orientamento scolastico e professionale; collaborazione con gli Enti Locali per ottenere risorse e servizi;e furono attivati  laboratori pomeridiani con i finanziamenti della  Legge 216, che ha avuto come promotore il Ministero degli Interni e per alcuni progetti anche il Ministero di Grazia e Giustizia.
Furono avviati corsi di educazione per gli adulti, anche nelle carceri; la scuola in ospedale e poi i Centri EDA
Con i finanziamenti dell’autonomia si registrò il boom dei progetti che erano presentati per ottenere i finanziamenti e spesso senza verifica dei risultati e degli esiti. La scuola si trasformò in “progettificio”ed i contributi per la scuola a rischio, in alcune realtà, costituirono solo una fonte d’integrazione dello stipendio di alcuni docenti, considerato che il rischio c’era, c’è e rimane, almeno finché ci saranno  somme da spartire.
Ricordo che fu predisposta la “scheda del curriculum” che accompagnava lo studente negli spostamenti da un’istituzione scolastica all’altra, anche dello stesso ordine di scuola ma, credo che pochi n’erano convinti delle necessità, tant’è vero che quando fu introdotto il “portfolio delle competenze” si sono alzati gli scudi della contestazione  e del rifiuto.
Il progetto Di.Sco. (dispersione scolastica) nella sua espressione verbale rievoca il presente indicativo del verbo latino “discere” e sintetizza in tal modo le finalità e gli obiettivi della scuola, che vuole essere “per tutti e per ciascuno” luogo d’apprendimentoe di formazione, proiettata a passare da scuola dei programmi a scuola dei progetti, per costruire un progetto di scuola che vada oltre i contenuti, e diventi scuola delle abilità e delle competenze.
I progetti dell’autonomia erano stati pensati per migliorare la didattica, avevano come “focus” l’aula, ma si registra che gli alunni difficili fuggono dall’aula, la didattica spesso non viene vitalizzata, la metodologia della lezione frontale non viene scalfita, i libri di testo, gli approcci didattici ripropongono lo stesso modello nella scuola del centro e della periferia e di conseguenza il fenomeno della dispersione permane ed anche se le statistiche registrano dei miglioramenti nelle percentuali, il beneficio didattico di apprendimento e di promozione culturale in alcune realtà risulta inefficace, anche se vengono registrati come positivi quegli obiettivi minimi conseguiti, che non trovano riscontro nello sviluppo delle reali competenze.
L’azione propositiva del “Progetto giovani”, “Progetto ragazzi duemila”, Progetto arcobaleno” ha stimolato la cultura dell’accoglienza, dell’orientamento, dei riorientamento, dello star bene a scuola, in famiglia, nella società, nella comunità cittadina, provinciale, regionale e nazionale.
Nell’intento di promuovere non soltanto il diritto allo studio, ma ancor più il “diritto all’apprendimento”, alla formazione, sono state realizzate in alcune scuole delle innovazioni: organizzazione modulare, flessibilità dell’orario, classi aperte,  laboratori didattici pomeridiani, che hanno avuto buon esito in relazione alla convinta adesione dei docenti che li realizzavano. Dove tutto ciò era formale adempimento o considerato “obbligo di servizio” non c’è stata alcuna ricaduta significativa.
Facendo un bilancio e mettendo a confronto costi e benefici possiamo veramente sentirci soddisfatti? Perché ancora ci sono delle realtà scolasticamente difficili ed improduttive? Perché nonostante i molti corsi d’aggiornamento, le statistiche, le “ricercazioni” tanti ragazzi a scuola non ci stanno bene e vengono allontanati di fatto ed ora con il sistema quantitativo della votazione numerica dovranno essere necessariamente bocciati? Perché la metodologia didattica è rimasta ingessata nella: lezione-esercizio-interrogazione senza promuovere il necessario coinvolgimento e la motivazione dello studente?
Sono molti i perché che ci mettono in crisi e ci fanno riflettere se i fiumi di parole delle riunioni degli osservatori d’area e provinciali o gli innumerevoli seminari e convegni che sono anche costati  tanti soldi ed hanno inciso sul magro bilancio della Pubblica istruzione, hanno apportato modifiche nella relazione educativa tra docente e studente.
E’ veramente cambiato il modo di fare scuola e l’approccio con lo studente “difficile”? Quale strategia metodologica alternativa viene adoperata nelle scuole operanti in zone a rischio, se non la riduzione della quantità del sapere e l’accontentarsi del minimo?
Le considerazioni espresse non devono comunque far rallentare il passo, né tanto meno frenare il ritmo d’attenzione, bensì continuare con perseveranza, serietà e coerenza il cammino intrapreso con tenacia e forza di volontà, gratificati dalla positività di alcuni traguardi che  nel tempo porteranno migliori benefici.
C’è ancora tanta strada da percorrere, con il vantaggio che il “sentiero” è già tracciato,  e poichè“i sentieri si formano camminando”, occorre continuare la ricerca che richiede sempre più impegno e volontà di recupero ed ogni piccola conquista costituisce un passo in avanti, un ostacolo in meno, una vittoria sulla delinquenza minorile.
Lo spessore pedagogico della dispersione scolastica sostiene inoltre il progetto della continuità tra i vari ordini di scuola, ancora su rive opposte e con un ponte appena disegnato sulla carta, La scuola secondaria di secondo grado, infatti, accanto alla linea dell’istruzione, dovrà tracciare anche la doppia linea continua dell’educazione e della formazione, (il voto in condotta va in questa direzione) binomio inscindibile in una realtà che ritiene di chiamarsi ancora “scuola”.
 Che le modifiche  apparentemente riduttive delle ore di lezioni, del numero dei docenti, delle classi di concorso,  proposte dal Ministro Gelmini possano risultare efficaci? Chi lo sa? Proviamo !
Giuseppe Adernò

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