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D.L. 36 e Scuola di Alta Formazione: l’esercito del faraone

Otto milioni di euro, che verranno recuperati dai tagli di organico e dalla carta docente, serviranno a finanziare la Scuola di Alta Formazione: nello specifico un presidente e un direttore che percepiranno 250.000 euro circa annui, un dirigente di 1ª fascia che ne avrà 150.000 annui e 12 funzionari 45.000 annui, mentre gli stipendi dei docenti sono al palo da almeno un decennio, 14 punti sotto l’inflazione e con uno scarto abissale rispetto alle retribuzioni degli colleghi europei.
Così, senza il merito di aver fatto un solo giorno di insegnamento, quest’esercito del faraone avrà il compito di “premiare” i docenti che sono stati più solerti a frequentare corsi digitali spalmando su un 40% di loro le risorse premiali che (si legge nel DL 36) dovrebbero anticipare gli scatti di anzianità.

Tutto questo è già messo nero su bianco in un decreto, scritto senza alcuna discussione e coinvolgimento collaborativo delle parti in causa, come dovrebbe avvenire in un sistema democratico sano e giustificando l’urgenza con la menzogna dei fondi PNRR, mentre la verità è che la formazione incentivata sarà pagata con i tagli all’organico e alla carta docente.
La domanda è: a chi giova tutto ciò?
Senza dubbio, oltre agli alti funzionari di cui parla il decreto, a chi gestisce e gestirà il business della formazione incentivata, enti e aziende che capitalizzeranno l’adesione pseudo-volontaria dei docenti che risponderanno prontamente alla chiamata.
Nel frattempo inizierà il lungo iter delle nuove leve: 7 anni di percorso più un concorso al termine del quale è previsto un ulteriore anno di prova e formazione con ennesimo esame finale e davanti la prospettiva di un’eterna formazione capitalizzata dall’esercito del Gran Re. Quest’iter viola palesemente l’articolo 33 della Costituzione, ma può sembrare il contrario perché in effetti siamo in quella che Calamandrei chiamava “dittatura larvata”, dove l’ingiustizia del sistema è tenuta appositamente in una condizione di latenza.

Che dire? Stiamo perfino peggio che ai tempi della 107 renziana. Ai vecchi problemi come le classi pollaio, l’inadeguatezza degli edifici, il proliferare di attività altre che hanno gradualmente marginalizzato la didattica e i processi di alfabetizzazione essenziale, il taglio delle risorse all’istruzione, lo sfruttamento illegittimo dei docenti per attività burocratiche spesso non contrattualizzate, si sono aggiunte nuove questioni che impongono una riflessione – azione collettiva. Nessun tiranno avrebbe potere se non glielo desse la massa foss’anche con pacifica e disinteressata acquiescenza.
C’è da sperare che dopo il 30 maggio si apra una nuova stagione di rivendicazione corale per impedire in ogni modo l’approvazione del Decreto Legge 36: nessuno si senta escluso dal danno di una scuola manovrata dagli interessi della finanza e dell’economia che illegittimamente pretendono di dettare regole e modi per riformare l’istruzione.


Giorgia Loi

Gruppo La nostra scuola 

Associazione Agorà 33

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