L’abbiamo sperimentato tutti. Si hanno idee, e si tende ad assolutizzarle, a considerarle ovvie. Per cui non è sempre facile comprendere chi la pensa in modo diverso. Così si discute molto, a volte anche in forma accalorata. Ed è normale che sia così. Del resto, cosa si cerca da adolescenti e da giovani se non l’incanto, la speranza che dà futuro, quelle idee che sembrano capaci di verità. Ed è bello e giusto che questo avvenga.
Poi si cresce, ed un po’ alla volta si fa esperienza, invece, del disincanto, cioè si sperimentano le prime forme di autocritica, e si capisce che non sempre, nella realtà, è facile distinguere il bianco dal nero. Perché le tonalità assumono sfumature diverse. Cioè si scopre la relatività, che non è relativismo, anche se è facile confondersi. Si scopre dunque che ogni idea va meditata in relazione al contesto, ed i contesti sono o possono essere diversi. Per cui è bene imparare a calibrare i giudizi e le proprie opinioni. Partendo dalla domanda di conoscenza. Le manifestazioni, di questi giorni, in alcune scuole superiori contro l’esito del voto politico di domenica scorsa sono un po’ la faccia odierna di analoghi episodi che tutti abbiamo vissuto nel passato.
Penso ai miei anni liceali, ma anche a quelli universitari, alla fine degli anni settanta del novecento. Con un contesto che era ben più difficile, a Padova, di quello odierno. Poi, studiando, si impara a distinguere, nella vita democratica, tra metodo e merito. Come si impara a definire meglio il significato di “popolo” e di “volontà popolare”, quindi di democrazia diretta ed indiretta, presidenziale e parlamentare. E così via. Anche se alcuni possono nutrire dei dubbi, dovremmo tutti però rimanere persuasi che l’Italia è un grande Paese democratico, che gli anticorpi democratici sono saldi, nonostante in alcuni le autocrazie, oggi di moda in diverse parti del mondo, facciano un po’ gola, per i metodi sbrigativi, a volte anche violenti, e non rispettosi delle minoranze. Se rapportiamo, ad esempio, i dati elettorali, anche di queste elezioni, non solo in rapporto ai votanti, ma prima ancora agli aventi diritto, vediamo ad esempio che le maggioranze elettorali in realtà sono tutte delle minoranze.
Con un consenso, poi, che va e viene, senza dare, nella moderna società fluida, certezze di successo o cambiali elettorali in bianco a nessuno. Basta rileggere in controluce la storia elettorale degli ultimi decenni. Poi, come sempre, sarà dai frutti che si scoprirà il valore degli alberi partitici, delle troppe promesse sbandierate come moderni vangeli laici. L’invito, dunque, a tutti, giovani e meno giovani, è sempre quello di studiare la storia in controluce, senza lasciarsi abbagliare dalle quotidiane vicende di cronaca spicciola. “Non mi interessa avere delle opinioni, amava ripetere un mio docente, ma avere delle idee vere”. Ma per avere delle idee vere lo studio è fondamentale, ma non basta, perché ha bisogno del confronto, della sana dialettica: “confutami, Callicle”, per dirla col grande Platone.
La prova di una idea si ha cioè con la sua controprova. Cioè ragionando e cercando; sapendo, infine, che posso trovare solo se continuo a cercare, senza mai pretendere di avere la verità in tasca. Più si trova, cioè, e più si è chiamati a cercare. L’intelligenza, come ci insegnano ogni giorno i bambini, è l’arte dei “perché“, è l’arte del domandare. Ma per domandare devo sapere cosa domandare, e domandando dimostro ciò che so ma anzitutto ciò che non so. Così va la vita, per tutti, in qualsiasi contesto. Questo è il lavoro che propone la scuola, ben diverso dai social. È il cuore di una vita aperta, non ideologica, ma disponibile ad incontrare chiunque domandi ragione oltre lo spazio del proprio ombelico.
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