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Da insegnante a pastora, la storia di una ex maestra che ha scelto di allevare capre: “Vorrei creare una fattoria didattica”

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Nel cuore verde dell’Appennino tosco-emiliano, all’interno del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, prende vita un’esperienza fuori dagli schemi: è la Scuola per Pastori, un progetto che unisce tutela ambientale e formazione, parte del programma europeo “Life ShepForBio”.

A scegliere di mettersi in gioco, tra gli altri, è stata Sara Mwisumamwo, 40 anni, mamma di cinque figli, maestra di scuola primaria e, da qualche tempo, anche allevatrice. Cresciuta a Padova da padre burundese e madre italiana, oggi vive sull’Appennino bolognese, a Castiglione dei Pepoli, dove ha trovato il suo angolo di pace e il coraggio di reinventarsi.

“Tutto è nato dalle mie due prime caprette tibetane”, racconta al Corriere. “Portarle al pascolo era una forma di libertà, un momento tutto mio. Ho capito che volevo fare davvero questo nella vita”.

Navigando online ha scoperto la Scuola per Pastori e ha deciso di provarci. “Non avevo un background nel settore, ma volevo imparare. È stata un’esperienza intensa: studio teorico, tirocinio sul campo, tanto impegno. Ma anche tantissima felicità”.

Durante il tirocinio ha lavorato con un’azienda nel Casentino, dove ha scoperto la sua passione per la trasformazione casearia. Oggi possiede nove capre e produce per autoconsumo: yogurt, formaggi, gelati, molto apprezzati da amici e familiari.

Il sogno? “Aprire una mia azienda, magari con una fattoria didattica. Mi piacerebbe fondere l’educazione e l’agricoltura, creare un luogo in cui i bambini possano imparare dalla natura. E perché no, un giorno anche un furgoncino itinerante per vendere i miei prodotti alle fiere”.

Nel frattempo, concilia famiglia, animali e lavoro. “La mattina e la sera mi dedico alle capre. Nei weekend andiamo tutti insieme al pascolo. Dormo poco, ma sono felice. Mio marito per aiutarmi si è anche messo a studiare agraria. I miei figli quando sono con me al pascolo o insieme agli animali si divertono tantissimo, ma non vorrei che si sentissero obbligati a farne parte, non deve diventare un’attività agricola a conduzione famigliare. Vedo questo progetto come una cosa molto mia, per questo mi piacerebbe portarlo avanti da sola”.

E se qualcuno le dice che fare il pastore nel 2025 è un passo indietro, lei sorride. “Forse è controcorrente, ma io ci vedo un futuro pieno di possibilità. Questo è il mio tempo, e lo voglio vivere così”.

Redazione

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