Il 25% degli studenti universitari del Sud, uno su quattro, si iscrive ad un ateneo collocato nelle regioni del Centro-Nord. Ma non solo per conseguire la laurea. Perché davvero in pochi, a ciclo di studi concluso, tornano a vivere nella provincia di appartenenza. La tendenza, in crescita, si evidenzia nel rapporto Svimez – l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno – che verrà presentato lunedì 25 giugno a Palazzo Madama, dedicato ai flussi interni di quella che si può definire come una consistente ‘migrazione’ accademica.
In termini quantitativi, dei 685 mila ragazzi meridionali iscritti a un corso di laurea nell’anno 2016-2017, sono circa 175mila quelli che hanno fatto la scelta di spostarsi dalla terra d’origine: la stragrande maggioranza, circa 153mila, per andare a studiare in un ateneo dell’Italia centrale e settentrionale.
Quelli che invece hanno fatto la strada in senso inverso, andando a studiare nel meridione, sono appena 18mila, nemmeno il 2%. E’ dunque consistente, con un trend in aumento, il trasferimento di giovani meridionali che vanno a studiare in università localizzate nelle regioni centrosettentrionali.
Le regioni meridionali con i maggiori flussi in uscita sono la Sicilia e la Puglia, con oltre 40 mila giovani che vanno al nord, ma è fuga anche da Basilicata, Calabria e Molise. Il particolare, Svimez calcola che è di circa un miliardo annuo la minore spesa della Pubblica amministrazione nel Mezzogiorno dovuta alla iscrizione fuori circoscrizione degli studenti meridionali.
Lo scorso anno – in base ai calcoli degli esperti della Svimez – il reddito aggregato meridionale è risultato inferiore di circa 0,4 punti percentuali a quello che si sarebbe avuto trattenendo sul territorio, a casa loro, i 153 mila studenti emigrati.
Lo studio della Svimez ha anche calcolato che l’emigrazione studentesca causa, in termini di impatto finanziario, una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro.
“È evidente che la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali – rileva il direttore Svimez, Luca Bianchi -. Ben più gravi, tuttavia, sono le conseguenze sfavorevoli che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la parte prevalente degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del capitale umano”.
Il fenomeno dello spostamento dal Sud al Centro-Nord, quasi sempre obbligato, riguarda anche molti giovani, a volte anche ultra 40enni, che per diventare insegnante “trasmigrano” in province lontane anche centinaia di chilometri dalla propria terra d’origine.
Solo che in questo caso, trattandosi di lavoratori più avanti negli anni, quindi quasi sempre con famiglia, con figli o genitori anziani, il desiderio di tornare a casa è sempre forte. Solo che in pochi riescono a realizzarlo: basta ricordare i tanti insegnanti assegnati, nel 2005, in regioni del Settentrione dall’algoritmo introdotto dalla Buona Scuola: per la maggior parte di loro, l’obiettivo primario è tornare a vivere vicino alla casa di residente.
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