In questi giorni, ma in generale dal cambio di denominazione del dicastero di Viale Trastevere guidato da Giuseppe Valditara, si fa gran parlare di merito, valorizzazione dei talenti, competizione a scuola, meritocrazia. Ad inserirsi, ancora una volta, nel dibattito, è stata la scrittrice Premio Strega, poetessa e saggista Dacia Maraini.
Quest’ultima ha espresso il suo pensiero in un editoriale su Il Corriere della Sera, cercando di trovare una mediazione tra chi crede che sia importante valorizzare il merito e chi invece sostiene che non bisognerebbe lasciare indietro nessuno, chi pensa che la competizione possa temprare i ragazzi e chi invece la bolla come tossica.
“C’è chi dice che la scuola stia imponendo un metodo di competizione che crea ansia e malessere nei ragazzi. Da qui la fuga dall’apprendimento. C’è chi sostiene che un poco di competizione sia necessaria per districarsi nella vita e che non a caso i più bravi se ne vanno all’estero dove la competizione è più praticata e procura rispetto e considerazione, nonché maggiori guadagni. Io però cambierei parola. Invece di competizione che in effetti suona come una forzatura a volte crudele, parlerei di meritocrazia, che è ben altra cosa”, ha esordito l’autrice.
Il merito non è negativo a prescindere
Secondo quest’ultima non si può eliminare totalmente il fattore del merito dalle scuole: “Mentre si può dire che la competizione imposta crea panico e disagio, dobbiamo riconoscere che la meritocrazia è un valore di cui non si può fare a meno per la crescita di un Paese. E dobbiamo convenire che il merito crea entusiasmo ed emulazione, salvo naturalmente qualche malignità da invidia a cui non bisogna dare troppa importanza”.
“Offrire uguale possibilità di accesso agli studi e all’apprendimento è fondamentale. Ma incoraggiare chi ha un talento speciale non è una ingiustizia. Anche se molti sostengono che chi viene favorito nelle sue predisposizioni finisce per ottenere un potere psicologico e culturale che comporta privilegi e potere”, questa la sintesi del suo pensiero.
“E qui si apre una voragine di domande: il talento viene dalla natura o è una costruzione sociale e culturale? Si nasce con capacità superiori alla massa o si è privilegiati per condizioni sociali che permettono di esprimere le capacità che tutti hanno ma non possono manifestare? Quando si va alla pratica però si scopre che la società nel suo insieme ha profondamente bisogno dei talenti: che sia per la matematica, per la filosofia, per la musica, per l’insegnamento, per l’economia, per la cucina, per la moda. Insomma c’è chi ha la mente e la mano felice e chi non ce l’ha”, ha aggiunto, sottolineando il fatto che il mondo ha certamente bisogno di talenti.
“È ingiusto dare spazio e sostegno a chi possiede queste inclinazioni? Rousseau direbbe di no. Anche i grandi movimenti rivoluzionari partono di solito da una uguaglianza al ribasso in nome della libertà e della giustizia. Ma pure sappiamo che il mondo va avanti solo per le novità, le scoperte che identificano coloro che sono dotati di speciali attitudini. Si tratta di trovare un equilibrio, non facile per la verità, fra la protezione dei deboli e degli esclusi, con il sostegno a chi ha stoffa e indole”, ha concluso Dacia Maraini, cercando di dare un suggerimento.
I risultati preoccupanti di un sondaggio in un liceo
Secondo un’indagine, promossa dal collettivo “Manzoni antagonista”, sette studenti su dieci del liceo Manzoni di Milano soffrono spesso di crisi di pianto o crollo emotivo dovuti alla scuola. Addirittura il 16% dei partecipanti denuncia di averli sempre. Uno studente su due, inoltre, non sente valorizzato il suo impegno da parte dei docenti e sente influenzata la propria salute mentale proprio dalla scuola.
Più della metà dice di sentirsi classificato solo in base ai voti e forzato a raggiungere l’eccellenza. “Fondare la scuola su concetti come merito e competitività, alimentando un continuo stato di pressione, trasforma lo studio da accrescimento personale a un’interminabile prestazione”, scrive il gruppo studentesco in un comunicato. L’obiettivo è che “questa nostra analisi non sia fine a se stessa, ma principio di un cambiamento” concludono i ragazzi.
Corsa tossica verso le eccellenze?
Il tema della competitività e della, spesso asfissiante, pressione verso gli ottimi risultati percepita dagli studenti, che spesso intacca la salute mentale, è al centro dell’attenzione nell’ultimo periodo. Basta pensare ai numerosi suicidi di studenti universitari, che hanno spinto molti rappresentanti universitari a fare appelli contro la parte “tossica” del concetto di merito.
Basta pensare a Emma Ruzzon e al suo discorso di febbraio all’università di Padova, un vero e proprio grido di allarme alla società. “Stanchi di piangere i suicidi dei nostri coetanei. A noi studenti viene richiesto di eccellere nella precarietà e con aspettative asfissianti. Non si tiene conto dei tempi di ognuno di noi né degli ostacoli economici e sociali”, ha detto la studentessa.
Di particolare rilevanza è stato il discorso di Alessandra De Fazio, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Ferrara di fronte al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini dello scorso martedì 4 aprile. “Sono un fallimento, non merito di vivere. Queste non sono le parole che titolano l’ennesimo giornale che riporta quotidianamente, accanto alle morti delle nostre compagne, l’esaltazione di una studentessa che riconosce nel sonno un ostacolo per laurearsi nella metà del tempo. Queste parole sono uscite dalla stessa bocca della persona che oggi sta di fronte a voi, queste parole le ha dovute sentire e subire mia madre quando subito dopo il test di medicina ho percepito di non avercela fatta, per la seconda volta”, ha esordito la ragazza.
La tematica della meritocrazia è al centro del dibattito sulla scuola in questi giorni anche dopo che è stata resa nota la decisione dell’Istituto Scalcerle di Padova di premiare con un bonus di 100 euro gli studenti con una media dei voti non inferiore al 9. Ciò ha scatenato molte polemiche: giusto dare dei soldi come ricompensa a chi studia e ha buoni risultati? Si tratta di un altro fattore che genera ansia? Per molti sì.