Pensare la DAD come un’occasione sembra una follia, ripensare la scuola con punti di vista e paradigmi diversi è di buon auspicio. La stanchezza dell’anno scolastico in corso inizia a farsi sentire, ma è costruttivo, insieme agli alunni, cercare di capire la situazione odierna. L’analisi è dolorosa per svariati motivi ma anche perché attorno al comparto scuola ruota uno stuolo di chiacchiere, lamentele, sentenze, affermazioni che trovano risonanza, spesso, dentro i social, intrisi di esperti, opinionisti e “leoni da tastiera” che fino a qualche anno fa, forse, in una conversazione, non sarebbero stati in grado di formulare un pensiero, più o meno, autonomo. Triste a dirsi, soprattutto quando a commentare articoli sulla scuola, sulla società, sull’adolescenza, si ritrovano non addetti ai lavori o peggio, insegnanti, che usano un linguaggio colorito, intriso di rabbia, poco consono a sé stessi e al ruolo.
La DAD, nello specifico della scuola secondaria di secondo grado, è stata impegno, colore, musica, parole, musi lunghi, conforto, compagnia, sbadigli, merendine, apprendimento, laboratori, noia, libri, incontri con gli autori, lavori multimediali e scoperta. È stata un surrogato intenso e fantasioso della mancata realtà.
La DAD, osservata da un preciso punto, ha “finalmente reso uguale” la scuola italiana. Non ci sono state più differenze strutturali, spazi mancanti, aule non attrezzate, palestre agibili o non, plessi disagiati da plessi ristrutturati, scuole con banchi a rotelle e scuole con banchi segati, scuole in condominio e scuole con ampi giardini, scuole con mense e scuole senza neanche un distributore di bevande e merendine, scuole con laboratori e scuole senza, scuole con biblioteche e scuole senza libri….la DAD ha colmato ‘strutturalmente’ il divario nazionale di differenziazione permanente tra scuole del nord e sud Italia, tra scuole dei piccoli centri e delle grandi città, condensando tutto in un monitor di un PC, un quadratino nello schermo, per chi ha potuto avere o cogliere questa possibilità, un quadratino dove l’unica espressione è diventata la parola, il confronto tra pari e con gli insegnati… con la grande difficoltà o capacità del docente di riuscire a coinvolgerli, trascinarli, interessarli al sapere, alla ricerca, alla produzione di pensieri propri e desideri.
C’è, inevitabilmente, chi è rimasto indietro e forse lo sarebbe stato anche in presenza, c’è chi è riuscito a fare un balzo in avanti, quello che non sarebbe riuscito a fare in presenza. C’è chi è in attesa di essere nuovamente ‘promosso’, c’è chi è cresciuto, chi si è migliorato ed ha superato la difficoltà dell’esposizione e del mettersi in gioco. C’è chi si è fatto travolgere dall’apatia, chi dall’entusiasmo…esattamente come avveniva anche in presenza, con una singolare eccezione: i genitori hanno potuto osservare i loro figli, hanno potuto avere contezza delle loro esperienze scolastiche. L’archetipo si è ribaltato, la scuola è arrivata a casa. Inevitabilmente ha indotto variegate considerazioni. I genitori hanno osservato gli insegnanti, con tutte le difficoltà, pregi, difetti e si spera anche i propri figli. Un figlio apatico, un figlio che dorme perché ha scambiato il giorno con la notte, un figlio che risponde male, che non usa termini appropriati, che è arrogante, è solo il risultato di un insegnante poco coinvolgente? lo sarà anche, ma non del tutto. È solo colpa della scuola o della DAD? Bisognerebbe ripensare ai ruoli. Bisognerebbe ripensare a sé stessi. Bisognerebbe non nascondersi dietro i propri sbagli ed incapacità. Bisognerebbe fare tesoro di questa “insolita” esperienza d’osservazione. Ci sono studenti che raccontano che i loro genitori non sono mai entrati nella loro stanze…
La scuola, come la vita di ognuno di noi, in questo momento, ha ribaltato il suo concetto standard ed è andata al cuore della questione. Chi ha osservato il proprio lockdown, indipendentemente dal colore regionale, si è reso conto di come la propria casa sia diventata il fulcro della propria esistenza, sia essa al centro di una grande metropoli o di un piccolo centro, ha fatto poca differenza. È stato il suo guscio e ciò che conteneva al suo interno ad esserne di peculiare importanza. Questo momento ha spodestato i contorni, ha svecchiato le ataviche convinzioni, ha evidenziato l’essenza. Ognuno ha generato spazi di vita interiore e non esteriore, spesso fulcro di questa liquida società. E così è riuscita a fare la scuola, meravigliosamente resiliente e pronta ad arrangiarsi. Se solo ognuno si fosse adattato facendo il proprio lavoro sia da studente che da docente, oggi, da questo momento singolare, transitorio, inverosimile ne avrebbe tratto il meglio. Invece solo individui pronti a lamentarsi, a non saper aspettare, a giudicare l’operato altrui…
Eppure se ci si fosse estraniati a guardare da altre prospettive, il panorama sarebbe stato vasto, senza confini…
La scuola è stata da troppo tempo non osservata dalla giusta angolazione: tutti dentro, con qualsiasi titolo o con nessuno, precari, lontani, vicini, con vincoli, trascinati dal vento… molte assurdità ed anche amenità che hanno creato disuguaglianze di lavoro, di merito, differenze a danno di menti che dovrebbero essere coltivate ed accompagnate nella loro crescita. L’attenzione è stata concentrata altrove.
È chiaro che l’unico punto di partenza della scuola è in PRESENZA, l’unica vera realtà che possa accompagnare la crescita relazionale, individuale, collettiva e di sapere di ogni essere. In tutte le sue sfaccettature e per ogni grado.
Ma non c’è musica più bella di quella armoniosa e piena di passione. Non esiste musica più bella! Mi auguro possa essere ascoltata da tutti quei futuri insegnanti che iniziano il loro splendido viaggio consapevoli della bellezza di questo mestiere, lontano dall’essere un ripiego o solo una sicurezza mensile.
Alice Titone