L’Unesco, come è noto, ha evidenziato che uno degli effetti più impressionanti della pandemia è stato l’abbandono della scuola da parte di 1,6 miliardi di studenti. Ma c’è pure il rischio che tanti altri interrompano il loro percorso scolastico o che lo seguano con grande irregolarità, nonostante le strategie didattiche messe in atto.
In Italia, riporta l’Internazionale, dei dieci milioni di studenti (9 tra scuola primaria, medie e superiori; 1 tra infanzia e nido) qualche migliaio sta rimanendo indietro, non potendo o non riuscendo a seguire la didattica a distanza.
I motivi di tanto sfacelo sono molteplici (mancanza di computer o tablet in casa, difficoltà di connessione, poco spazio nelle abitazioni, famiglie con più ragazzi in età scolare, mancanza di devices e di stimoli sufficienti: dalla famiglia, dai docenti, da sé stesso) compresa la formazione degli insegnanti, per cui le organizzazioni che si occupano di dispersione scolastica ribadiscono che ogni progetto per il futuro deve avere come priorità quella di non lasciare indietro nessuno, seguendo pure il dettato costituzionale.
Intanto, ricorda l’Internazionale, in Italia, dopo un calo progressivo nei primi dieci anni del duemila, che aveva portato l’abbandono al 13,8 per cento nel 2016, c’è stato un aumento nel 2017 (14 per cento) e nel 2018 (14,5), per cui non è difficile prevedere una nuova crisi per il mondo dell’infanzia, dopo quella causata dal crollo dell’economia mondiale nel 2008. Nell’ultimo decennio il numero di bambini in povertà educativa è cresciuto fino a quadruplicare, mentre il rischio concreto è che questo aumento non si fermi anche per causa dalla difficoltà di organizzare la didattica a distanza.
Se poi pensiamo all’educazione parentale (l’istruzione impartita a casa) messa in atto forzatamente in questi giorni, essa può essere vantaggiosa solo per studenti che hanno genitori in grado di dedicare molto tempo ai figli e seguirli anche più di prima; lo è ovviamente molto meno, per esempio, per i figli di cittadini stranieri che non parlano italiano o con genitori costretti a lascate casa pere mille motivi, cancellando così i momenti di confronto possibili online con altri compagni e con i maestri e rischiando soprattutto di perdere le competenze linguistiche di base.
Chi ha a cuore la scuola si interroga sui possibili sforzi per non lasciare indietro nessuno eliminando le differenze che esistono, e che ora si stanno accentuando, tra aree urbane e aree interne, tra centro e periferia, e tra zone più o meno colpite dal contagio.
Dice Graziamaria Pistorino della Flc-Cgil: “Il problema della dispersione scolastica è il problema, ma per affrontarlo dobbiamo tornare il prima possibile alla didattica in presenza. Con la didattica a distanza come è possibile far sentire uno studente parte della classe? Ci dimentichiamo dei ragazzi e dei bambini più vulnerabili. Pensiamo al lavoro degli insegnanti di sostegno che è chiaramente un lavoro dedicato, ma è rivolto soprattutto a un percorso d’inclusione. L’unico modo per immaginare una scuola post-emergenza è investire sulle strutture e sul personale. Ma su questo punto la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina non ci vuole ascoltare: è autoreferenziale”.
La priorità diventa non tanto come tamponare le mancanze nella attuale crisi, ma come non provocare danni a lungo termine o come non accentuare i deficit già esistenti in questo tempo di sospensione dell’attività didattica.
L’altro rischio che tutti sperimentiamo in questi giorni è che la didattica a distanza diventi una modalità sempre più normale per fare scuola, senza riflettere sui diversi rischi che questa comporta. Pericoli che riguardano il ruolo dei docenti, la privacy degli studenti, l’applicazione acritica di certe piattaforme, la qualità dei contenuti.
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