Il ritorno in classe breve di tutti gli alunni malgrado i dati Covid ancora preoccupanti, appena confermato dal premier Mario Draghi, sarebbe più che motivato. Non solo per la loro mancanza di interazione con i compagni o per la perdita di apprendimenti. Nel conto va messa anche un’alta percentuale di studenti che boccia i propri docenti per come hanno gestito la didattica a distanza nell’ultimo anno di convivenza con il Covid-19: il giudizio arriva dai 750 ragazzi di scuola media e superiore che hanno partecipato ad uno studio dell’Università Lumsa, guidato dalla professoressa Caterina Fiorilli, docente ordinario in Psicologia dello sviluppo. Il team di ricercatori ha chiesto agli studenti delle scuole secondarie (primo e secondo grado) di valutare, con una vera e propria pagella, i propri docenti durante il periodo della DaD. Ebbene, l’esito, ha restituito un quadro piuttosto disarmante.
“Le domande poste agli studenti hanno riguardato la valutazione della DaD e gli effetti sul loro stato di salute mentale. Da Nord a Sud, tutti hanno manifestato diversi motivi di sofferenza”, ha spiegato la professoressa Fiorilli.
Sulle motivazioni mancate gli studenti non sembrano avere dubbi: soprattutto quelli delle scuole del Centro Italia, visto che il 62% ha “bollato” il proprio prof con una secca insufficienza. Una percentuale analoga ha detto anche che il docente non sa instaurare con la classe “un clima positivo”. E nemmeno realizzare “momenti di riflessione sul Covid”.
Diversi docenti sono stati giudicati negativamente anche per le capacità d’uso delle piattaforme telematiche: i giudizi più severi sono stati quelli degli studenti del Settentrione (37%), poi del Centro (30%) ed in numero minore quelli del Sud (24%).
Gli allievi delle regioni centrali sino invece in particolare lamentati (quasi uno su due!) per le spiegazioni con “poca chiarezza”. Sempre quasi il 50% degli studenti del Centro, ma anche del Nord, ha anche fatto osservare che i docenti non saprebbero “mantenere alta l’attenzione” durante la DaD.
Uno dei giudizi più negativi è però quello sulle capacità dei docenti nel valutare i loro alunni, un tema diventato centrale in questi giorni dopo il caso della studentessa costretta bendarsi durante una interrogazione on line: per molti di questi ultimi, infatti, la valutazione obiettiva del prof è praticamente una chimera. Addirittura, il 57% degli studenti delle scuole del Centro Italia intervistati ha dato un giudizio insufficiente. Contro il 42% al Nord e solo il 30% al Sud. E un giudizio non molto diverso giunge sui compiti assegnati per “valutare l’apprendimento”.
Circa la metà degli studenti interpellati si è poi lamentata perché i loro prof non sanno “scherzare e stare al gioco”.
“Gli studenti delle scuole secondarie – ha detto la docente accademica che ha condotto lo studio – hanno giudicato i loro professori con molta severità: poco capaci di motivare e di tenere alta l’attenzione della classe, di valutare con obiettività e trasparenza, di creare momenti di riflessione sull’esperienza personale legata all’emergenza sanitaria. I voti più bassi li hanno ricevuti i docenti del Centro e del Nord, in particolare quelli degli istituti superiori”.
Solo uno su tre, però, ha “bocciato” il suo insegnante per incapacità complessiva a gestire la didattica a distanza. Con il gli studenti del Centro però più severi anche in questo caso, visto che a dare il giudizio negativo è uno su due.
Un secondo studio della Lumsa, condotta sempre dalla stessa cattedra universitaria, ha anche coinvolto gli studenti universitari: anche in questi casi sono emerse delle lamentele, con molti studenti accademici che hanno detto di rischiare l’abbandono degli studi per il disagio emotivo e cognitivo. Tanto da arrivare a parlare di burnout accademico.
“Le emozioni provate più frequentemente sono state – ha commentato la professoressa Fiorilli – il senso di vuoto, la tristezza e la paura del futuro, accompagnate da chiari segni di difficoltà nella concentrazione e nella memorizzazione. Quelli più a disagio, tanto da parlare di burnout accademico, risultano essere le matricole”.
“Gli atenei del Nord hanno la percentuale più alta di studenti in grande difficoltà emotiva e cognitiva, rispetto allo studio. Mentre l’alto rischio di abbandono del percorso universitario vale per tutti, senza distinzione geografica”.
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