Nella bozza delle linee guida per la ripresa dell’attività scolastica a settembre, in discussione oggi nella conferenza Stato-Regioni, sono ipotizzati due scenari: una forma non ben specificata di Didattica a Distanza in caso di recrudescenza dell’ emergenza pandemica o un ritorno a scuola in presenza con criteri di distanziamento in caso di andamento del contagio sotto controllo.
Una delle proposte (non presente esplicitamente nella bozza ma più volte discussa e di fatto di probabile adozione da parte delle scuole) si basa sull’ idea di ore di lezione da 40 minuti, che consentirebbero di creare un numero maggiore di classi ma con meno alunni, a fronte però di una drammatica riduzione del “tempo scuola” o meglio del “tempo effettivo di insegnamento” in cui il docente è effettivamente in contatto con gli studenti: (le stime variano da un terzo fino ad oltre il 40% di riduzione). Lezioni quindi necessariamente più contratte, veloci, essenziali. Il che si tradurrà in un taglio drastico ai programmi disciplinari, ma anche in una prevedibile ricaduta sull’ efficacia dell’ intervento formativo ed un trasferimento ai ragazzi e alle loro famiglie di carichi di lavoro prima gestiti in classe dal docente (parti di programma e recuperi in itinere) con inevitabile acutizzazione delle disparità.
A fronte di tale nefasto scenario e di una generica “attività didattica in presenza e didattica digitale integrata” contenuta nelle linee guida (la cui organizzazione è demandata però all’ autonomia scolastica), appare veramente incredibile come non sia stata posta sufficiente attenzione verso una soluzione più semplice ed efficace, a salvaguardia innanzitutto della formazione dei ragazzi e del tempo effettivo di insegnamento (in caso di ritorno dell’ emergenza): la “didattica mista alternata” . Questa opzione prevede la creazione di due sottogruppi A e B con lezione in presenza al gruppo A e trasmissione in streaming della stessa stessa lezione al gruppo B. A e B si alternano a scuola in presenza. Questa proposta è valida, è bene sottolinearlo, solo per gli istituti superiori e le scuole medie, dove i ragazzi hanno un’età sufficientemente elevata, tale da poter seguire autonomamente (pur con sorveglianza) le lezioni a distanza. Un immediato vantaggio sarebbe anche il non stravolgimento dei gruppi classe (i ragazzi manterrebbero i contatti all’ interno dei sottogruppi) mentre nella bozza in discussione si parla al contrario di formazione di gruppi eterogeni per età, ovvero provenienti da classi differenti: questo si stravolge il gruppo classe con anche pesanti conseguenze sulla programmazione disciplinare.
E’ importante sottolineare come la DaD mista alternata, non andrebbe adottata sistematicamente in tutte le classi, ma solo in quelle dove per problemi di spazio non fosse possibile il distanziamento dei banchi nel rispetto dei 2 metri quadri per alunno. E ciò sarebbe in linea con quanto contenuto nelle linee guida in discussione che auspicano una “valorizzazione delle forme di flessibilità derivanti dall’autonomia scolastica”. Inoltre, grazie alla riduzione del numero di alunni in presenza, la DaD mista alternata favorirebbe la gestione dei flussi in ingresso e uscita dalle scuole, particolarmente problematica in quelle di città con spazi di accesso limitati (ricordiamo che il numero di alunni in ogni plesso scolastico si aggira mediamente oltre le 1000 unità, ben superiore ad esempio a quello di un supermercato, dove l’accesso è stato gestito con code di distanziamento anche molto lunghe, improponibili in contesti cittadini).
Veniamo alle criticità, in particolare alla questione sorveglianza. Se per la fascia di età 16-18 anni (triennio degli istituti superiori) non sussiste il problema della sorveglianza di alunni minorenni a distanza, perché questi potrebbero seguire ed interagire da soli da casa, per il biennio delle superiori e per le scuole medie (alunni minorenni) sarebbe invece necessaria la sorveglianza dei ragazzi dei gruppi B a distanza. A questo punto, per una mera attività di sorveglianza basterebbe un adulto opportunamente istruito sulle questioni di sicurezza (non necessariamente un insegnante) ad esempio scelto tra i gruppi di volontari che si stanno organizzando sul territorio nazionale. Rimane però aperto e di non facile soluzione il problema degli spazi dedicati alla DaD al di fuori della scuola (ovviamente forniti di segnale internet e collegati allo streaming della lezione). Ecco quindi la vera criticità: dove reperire questi spazi per i gruppi di ragazzi che non possono rimanere a casa da soli e vanno sorvegliati durante la DaD (gruppi B)?
La risposta non è scontata, e richiede certamente il coinvolgimento di enti locali proprietari di immobili e comuni. Il Governo, a questo proposito, ha già annunciato interventi di edilizia scolastica leggera e ciò è un fatto positivo. Tuttavia, e qui sta la novità della proposta, perché non pensare anche a spazi privati già esistenti quali sale convegni e sale riunioni di alberghi („meeting rooms“) di cui sono piene le nostre città, o anche ad altre realtà emergenti quali gli spazi coworking ? Non solo spazi pubblici quindi. Il vantaggio sarebbe duplice: da un lato si otterrebbero spazi didattici già climatizzati per la stagione invernale e con segnale internet adeguato (e, in particolare il primo punto, non è cosa da poco). Dall’ altro si aiuterebbe un settore in forte difficoltà, quello alberghiero/convegnistico, ricco di sale riunioni e sale convegni destinate a rimanere vuote o comunque sottoutilizzate nell’ era del business “post-covid”.
Il documento in discussione nella conferenza Stato-regioni fa genericamente riferimento ai cosiddetti “patti educativi di comunità”, senza però fornire stime sui costi e modalità. Non è chiaro ad esempio se si preveda un “comodato d’uso gratuito” da parte di privati assai generosi, o, più sensatamente, un pagamento della quota di affitto agli stessi. Fondamentale è quindi stimare l’impatto di spesa pubblica di questo tipo di intervento.
Quanto costerebbe allo Stato pagare i privati per questi spazi aggiuntivi per la DaD? I costi di affitto, che ovviamente varieranno di città in città, sono facilmente immaginabili: nell’ ipotesi di coprire da Settembre a Giugno un monte ore settimanale dimezzato (per l’alternanza DaD/presenza) con un range di prezzo orario ragionevole tra le 20 e le 30€/h, si arriva a stimare un costo di affitto tra i 10 e i 15.000 €/anno/classe. In Italia, nella scuola superiore di I e II grado si contano circa 200.000 classi, ma non tutte andrebbero sdoppiate. In molti casi, dove le aule sono sufficientemente grandi, i criteri di distanziamento sarebbero soddisfatti senza lo sdoppiamento o con solo una riduzione minima del numero di alunni, non un dimezzamento. Ipotizzando qui per semplicità che solo metà delle suddette classi necessitino dello sdoppiamento (anche se tale dato andrebbe ovviamente verificato con un’analisi statistica accurata che si basi su di un altrettanto accurato censimento della metratura di tutte le aule di tutte le scuole), l’investimento complessivo, sammonterebbe approssimativamente a ca. 1-1,5 MLD (o anche meno, in funzione della contrattazione del prezzo di affitto). Soldi che finirebbero però nelle tasche di una categoria, quella degli albergatori e quella fieristica/congressuale, in forte difficoltà per la crisi pandemica.
Per mettere in pratica questa possibilità è assolutamente prioritario imprimere ora una forte accelerazione al trasferimento locale dei fondi e all’ avvio urgente di interventi di cablaggio in fibra ottica delle scuole italiane. Serve potenziare entro Ottobre (non fra due anni!) la banda internet nelle scuole il più possibile capillarmente sul territorio nazionale, per consentire l’eventuale adozione di forme sistemiche di didattica mista. Adozione eventuale, perché sempre vincolata ad uno scenario probabile, ma non certo, di ritorno del picco pandemico in autunno e della situazione emergenziale. Allo stesso tempo, in ottica precauzionale, gli interventi di adeguamento si configurano come necessari ed irrinunciabili anche in caso di non ritorno del picco pandemico da Sars-Covid 2, poiché la scuola deve essere pronta a fronteggiare emergenze pandemiche future di qualsiasi natura, anche più remote nel tempo, proprio sulla base dell’esperienza di quanto accaduto nella primavera 2020 in Italia e nel mondo.
Alessandro Zivelonghi