Sul rientro in classe degli studenti degli istituti superiori si sono susseguite tre pronunce di segno diverso in tre Regioni (Tar Lombardia, n. 32/2021 del 13 gennaio, Tar Palermo, n.23/2021 del 14 gennaio 2021, Tar Emilia Romagna n. 30 del 14 gennaio 2021).
La Regione Emilia-Romagna, la Regione Lombardia e la Regione Sicilia, con distinti provvedimenti avevano stabilito il ricorso alla Didattica a Distanza per gli studenti delle scuole superiori, adottando così un regime più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale.
Alcuni genitori avevano presentato ricorso ai rispettivi Tar regionali, chiedendo la sospensione cautelare dei provvedimenti, sostenendo che così facendo si andava a comprimere in maniera eccessiva il diritto dei loro figli di frequentare di persona la scuola, intesa quale luogo di istruzione e apprendimento culturale nonchè di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità degli allievi.
Secondo i ricorrenti, tali condizioni non verrebbero sufficientemente assicurate con la DAD, anche in considerazione del fatto che non tutta la popolazione scolastica è dotata dei necessari strumenti tecnici.
Chiamati a pronunciarsi con decreto presidenziale (vista la particolare urgenza, i provvedimenti sono stati adottati direttamente dal Presidente del Tar, prima ancora di disporre la convocazione delle parti), i Tar sono arrivati a conclusioni diverse.
Sia il Tar della Lombardia che quello dell’Emilia-Romagna hanno sospeso le ordinanze regionali, ritenendo sostanzialmente tali provvedimenti viziati da eccesso di potere per insufficienza ed illogicità di motivazione e difetto di istruttoria.
Il Giudice Amministrativoha infatti rilevato che non era stato sufficientemente analizzato il grado di influenza sotto il profilo epidemiologico dell’attività didattica in presenza, osservando – nel caso della Lombardia – che il pericolo che si voleva fronteggiare erano gli assembramenti correlati agli spostamenti degli studenti, piuttosto che l’attività didattica vera e propria.
Anche in situazioni di gravità, l’attività amministrativa non può sacrificare in toto altri interessi costituzionalmente protetti.
In buona sostanza, secondo le richiamate decisioni, occorre cercare un equo bilanciamento tra due esigenze pubbliche, quella sanitaria e quella del diritto all’istruzione, in una prospettiva di necessaria proporzionalità di misure incidenti su diritti fondamentali.
Il Giudice Amministrativo ha ricordato che l’Amministrazione può intervenire con altre misure più appropriate che non andrebbero a comprimere il diritto all’istruzione, quali il potenziamento del trasporto pubblico e adeguate misure organizzative (turnazione degli alunni e diversificazione degli orari di ingresso).
Il Tar Palermo dal canto suo ha osservato che – poiché l’efficacia dell’ordinanza era di appena due settimane- non poteva configurarsi alcuna irreversibile compromissione del diritto allo studio e che comunque il “diritto all’istruzione costituzionalmente garantito” va correlato con l’altrettanto fondamentale “diritto costituzionale alla salute”, sia come di diritto soggettivo alle cure, sia come diritto della collettività alla sicurezza sanitaria.
In questa situazione piuttosto confusa, la Corte Costituzionale è intervenuta (Ord. n.4/2021), indicando saggiamente la strada da seguire.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una legge della Regione Autonoma Val d’Aosta che consentiva alcune attività in deroga a quanto stabilito dallo Stato, la Corte ha avuto modo di prendere posizione sui rapporti tra Stato e Regioni in relazione all’emergenza da coronavirus. Nel sospendere la legge, la Corte, ha ricordato che qualunque aggravamento del rischio, anche su base locale, può compromettere in modo irreparabile la salute delle persone, ribadendo la necessità di una gestione unitaria della pandemia, pur con diversificazioni regionali, ma sempre nel quadro di una leale collaborazione.
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