Depresso per colpa della Dad, salvato dai professori. È la storia che racconta a “La Repubblica” Riccardo, un 18enne di un istituto tecnico di Bologna che ha vissuto in maniera complicata il periodo della pandemia e della didattica a distanza. Uno studente come tanti altri, che vive la scuola come un luogo di condivisione. Non uno studente modello (“non studiavo, dopo due bocciature volevo riuscire a fare questo terzo anno in Meccanica e meccatronica”) ma un giovane che riconosceva nella scuola il luogo delle relazioni.
L’introduzione della didattica a distanza però mandava in crisi Riccardo. “Uno che non va bene a scuola non è che ce la può fare da solo in camera a studiare, si distrae più facilmente. Non hai nemmeno il prof che ti richiama in classe per farsi ascoltare. Praticamente alle 7.59, con le lezioni che iniziavano alle 8, scendevo dal letto e in pigiama mi mettevo davanti al computer. Ma dopo poco mi distraevo: ascoltavo la musica, guardavo il cellulare o un film, andavo in sala e mi accendevo la tv.”.
Distrazioni, scarsa concentrazione, solitudine e buio. La camera da letto con il pc diventava il luogo dell’isolamento. Sette materie da recuperare, conseguenza di quel periodo di blackout e la decisione di abbandonare la scuola. Senza più possibilità di sfogarsi giocando a calcio e chiuso in casa da mesi, l’idea di iscriversi a un professionale o andare a lavorare.
L’ancora di salvezza arrivava dai professori che tramite una mail invitavano Riccardo a tornare a scuola in presenza con pochi compagni. Una proposta fondamentale per Riccardo che tornando a scuola, seppur con soli tre compagni, ritrovava la voglia di affrontare le situazioni e reagire.
Una storia, quella di Riccardo, simile a tante altre e di cui è pieno il Paese. Con il ruolo decisivo però, recitato dai professori.