I lettori ci scrivono

Dada, per una scuola migliore, o no?

Non è la prima volta (né sarà l’ultima), ciò che meraviglia è l’insistenza.

In questi ultimi anni si è discusso molto e animatamente sulle problematiche scolastiche e sui rischi di un fallimento (almeno in parte) del sistema educativo.

Non si tratta solo dei presunti danni all’apprendimento arrecati dall’uso della DAD, ormai possiamo dire superata, il discorso verte sulla struttura scolastica nel suo complesso e sui sensibili cambiamenti in essa apportati.

I competenti della questione parlano apertamente un chiaro e preoccupante disagio giovanile, derivato, forse da una più vasta crisi sociale, che inficia l’apprendimento e la crescita dei giovani.

Alla base, forse (un luogo comune) vi è la crisi della famiglia e la difficoltà dei genitori (di molti genitori) di educare correttamente i figli. O meglio, ci troviamo di fronte a genitori ansiosi e incerti, deboli, pronti a tutelare spasmodicamente in ogni modo i loro pargoli e ad allontanare da loro ogni minima preoccupazione, che finiscono per trasmettere, pur senza volerlo anzi animati dal desiderio di operare bene, tutte le loro debolezze ai figli.

Allora, depressione, ansia, stress, paura, senso di inadeguatezza, frustrazione attanagliano molti ragazzi con ricadute assai negative.

Quali rimedi. Per alcuni solo la psicologia (come se non ce ne fosse già abbastanza) posta in misura massiccia in ogni scuola, può risolvere, almeno in parte, tali problemi.

Per altri l’eccessiva presenza (l’invasione) degli psicologi potrebbe (senza potrebbe) essere addirittura deleteria.

“L’emergenza sanitaria ha riportato in auge lo psicologo a scuola, ma ora si punta ad una obbligatorietà. È quanto chiede l’Ordine degli psicologi. Ma tutto ciò cela un sospetto: la medicalizzazione del rapporto educativo. Il disagio nel mondo giovanile dovrebbe essere affrontato all’interno di un approccio educativo e non come patologia, ma il mondo degli adulti rinuncia a educare dopo decenni di mentalità relativista e nichilista. Così delega agli psicologi.  L’ultimo danno agli alunni.”.

No, niente psicologia, che trasformerebbe la scuola in un ospedale psichiatrico (con un po’ di esagerazione), occorre un massiccio e forte intervento dei pedagoghi, che invitano” a risolvere le problematiche degli studenti attraverso l’educazione e la pedagogia puntando “alla ricostruzione dei rapporti sociali e delle relazioni solidali, perché proprio nei momenti come quello corrente, ci accorgiamo della inadeguatezza dei modelli individualistici fino ad ora assunti”

Il problema non è psicologico, ma sociale ed educativo, in questo senso, non in altro, occorre intervenire.

In questa’ querelle’ tra psicologi e pedagoghi (che come sempre non risparmia critiche discutibile ai metodi di insegnamento dei docenti, definite sempre vecchi e obsoleti) interviene da parte dei sapienti una proposta che, promettono, risolverà ogni problema dei ragazzi: relazionale, comportamentale e di apprendimento.

Ci riferiamo alla DADA (non dadaumpa, mi raccomando).

Ma cos’è questa DADA?

Si può dire che non è l’ultimo ‘ritrovato metodologico’. Fa parte della didattica per ambienti (o scenari) “intuita” da tempo (ne avevo sentito parlare tanti anni or sono, forse nel 1993.  Si parlava allora di organizzazione degli spazi di apprendimento e mobilità). Ora sembra essere tornata in auge (in molte scuole della Repubblica già la attuano, ho sentito dire. Che coraggio!) con tutti gli sviluppi e gli abbellimenti del caso e se ne parla con gran fermento e intenso interesse.

Per chiarire il concetto riporto, in sintesi quanto trovato: ”Il termine DADA è un acronimo di Didattiche per Ambienti Di Apprendimento:   le aule diventano  come un ambiente attivo di apprendimento. Esse infatti vengono personalizzate per ognuna materia, e quindi non sono assegnate alla classe, bensì ai docenti: ogni aula rispecchierebbe una disciplina, e gli alunni si sposterebbero da un’aula all’altra nel cambio di lezione (proprio come succede negli Stati Uniti)”.

Per semplificare ulteriormente si può parlare (con esagerazione) di rivoluzione copernicana.  Non sono gli insegnati a muoversi, ma gli alunni che, ad ogni lezione, cambiano aula (non hanno una loro classe).

Così, dicono, i nostri ragazzi non saranno costretti a stare fermi e immobili per ore su scomode sedie (questa è una bella immagine propagandista ma, come sanno tutti, almeno chi insegna veramente, ciò non avviene mai), ma si sposteranno ad ogni nuova lezione in ambienti-classi costruiti appositamente per insegnare quella determinata materia.

Saranno gli insegnanti a dover rimanere mummificati per ore e ore su una scomoda sedia (quasi una punizione) nella stessa classe.

Ottimo. Immaginiamo la scena. Al suono della campanella in ogni classe i ragazzi rumorosamente si alzano. Alcuni prendono il pesante zaino, altri un libro (quello giusto?), qualcuno un tablet (magari scarico), c’è anche chi non prende nulla. Fatta questa prima operazione escono da quella classe e incontrano o si scontrano con i colleghi-allievi usciti dalle altre aule. Negli stretti corridoi si formano ingorghi, file, assembramenti. Chi si ferma a parlare con una bella compagna, chi ne approfitta per andare ai servizi, chi entra in un’aula di un’aula sconosciuta (e seguirà un’alta lezione), chi ne approfitta per fermarsi alle macchinette o sgattaiolare nell’ufficio dei bidelli. Qualcuno potrebbe anche fare una puntatina a casa, annoiato dalle troppe lezioni.

Tutta la scuola in movimento, il corridoio sembra la via principale di una città (ci vorrà un vigile?). Gli alunni diventano passanti, viaggiatori, vagabondi o pellegrini in cerca di un ‘ubi consistam’.

Alla fine, quando riescono a trovare (non è detto tutti) l’aula giusta per quella determinata lezione, inizia il processo di individuazione posti (il posto della settimana passata potrebbe essere stato occupato da un compagno arrivato prima) e di sistemazione sulle scomode e dure sedie. Non è finita. Bisogna rintracciare dallo zaino il libro giusto ( “Oh , perbacco l’ho dimenticato a casa ) e concentrarsi per la lezione.

Fatto tutto questo ci si rivolge vero il professore spazientito e irritato da tanta attesa e finalmente si può dare avvio a una lezione certamente molto fruttuosa.

Ecco la fantastica DADA.

Lo ammetto, la mia è stata una descrizione frettolosa e poca generosa. Non sono mai molto propenso alle novità, soprattutto quelle imposte in modo rapido e poco vagliato.

D’altronde il mio pensiero tende ad essere più conservatore o cauto e non si piega tanto facilmente (a meno che non debba) agli impeti del cambiamento.

In realtà i fautori (ed esperti) di questo innovativo sistema scolastico, con una brillante propaganda, ne esaltano tutti i benefici. Il rapporto movimento e pensiero risolverà tutti i problemi degli studenti, che, senza sforzo, contenti e felici apprenderanno pienamente ogni cosa (andate a leggere i libri sull’argomento, se non ci credete).

Non serve disturbare psicologi o pedagoghi, basta la DADA. Come abbiamo fatto a non pensarci prima?

Come l’uovo di Colombo (che comunque s’è rotto o almeno ammaccato). Facile no.

Ceriani Andrea

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