Di riforma dei cicli scolastici si parla da diversi anni. Di proposte ne sono state presentate tante: su tutte, quella di Luigi Berlinguer, che due decenni fa, da ministro dell’Istruzione, tentò di accorpare scuole medie ed elementari in un ciclo unico di sette anni, lasciando intatte le superiori, introducendo però il diritto-dovere della formazione professionale fino ai 18 anni di età. Quella riforma, di fatto mai approvata, lasciava però immutata la possibilità di frequentare i tre anni di scuola dell’infanzia, dai 3 ai 6 anni di età. Ora, è su quella fascia d’età che il Governo sembra volere agire, rendendola obbligatoria.
Secondo un’anticipazione de ‘Il Messaggero’, il progetto andrebbe a stravolgere la visione della scuola dell’obbligo: non un dovere, ma un diritto visto che oggi, in Italia, la scuola dell’infanzia non è garantita a tutti, eppure resta ancora fuori un buon 5% di bambini: sono quelli che non la frequentano per scelta dei genitori o perché non rientrano nei posti disponibili.
Non solo: “a questi vanno sommati anche tutti quei piccoli alunni che si rivolgono alle scuole private, paritarie. E non sono pochi, anzi: nella scuola materna statale sono iscritti oltre 900mila bambini, in quella paritarie sono 524mila”. Quindi, un bambino su tre fino a sei anni frequenta un’istituzione scolastica non statale.
La novità del progetto è insita nel fatto che rendendo l’asilo obbligatorio, si assicurerebbe invece un posto nella scuola pubblica a tutti i bambini.
“Più che di obbligo – ha spiegato Anna Ascani, vice-ministra dem all’Istruzione e tra i promotori del progetto – parlerei di un diritto da garantire: il diritto dei bambini ad andare a scuola a 3 anni, a poter accedere a questo primo step della formazione e dell’educazione. E’ noto che i bambini che partono dalla scuola dell’infanzia hanno meno difficoltà negli studi ed escono meglio dal percorso formativo”.
“È un dovere garantire questa condizione a tutti i bambini, anche a quelli che, vivendo in condizione di disagio non solo economico ma anche sociale, non frequentano la scuola dell’infanzia. Spesso infatti sono le famiglie più disagiate a non iscrivere i bambini all’asilo”.
Diventa rilevante, commenta ancora ‘Il Messaggero’ quindi l’aspetto economico: frequentare un asilo pubblico non prevede il pagamento di una retta se non per i costi della mensa per il tempo pieno, quindi si aggira sui 50-100 euro circa al mese a bambino. Iscriversi ad un asilo privato, invece, comporta ben altra spesa: dai 200 ai 350 euro circa di media con picchi anche ben più alti.
Per rimanere in tema di soldi, per avviare la sperimentazione ne servono davvero tanti. Sia per la formazione di chi c’è oggi, sia per assumere nuovi maestri.
“L’intenzione della maggioranza è quella di far partire l’obbligo entro la fine della legislatura, per il 2023. Ma le scuole paritarie, che oggi garantiscono una buona parte del servizio senza le quali mezzo milione di bambini resterebbe a casa, non resteranno escluse: hanno un’attività molto presente e ben radicata sul territorio e si trovano soprattutto in quelle aree dove mancano le strutture pubbliche, quindi la loro presenza è strategica. L’idea è quella di attivare convenzioni come già accade per gli asili nido nei singoli comuni”.
Vale a dire che la scuola dell’infanzia privata mette a disposizione dello Stato una quota dei suoi posti, se non tutti, ai quali i bambini possono accedere con tariffe statali.
Sarà poi compito della scuola pubblica compensare la differenza della retta richiesta dal privato. L’esempio da studiare, oggi, è quello francese: il governo di Macron ha infatti avviato in via sperimentale l’obbligo a 3 anni con la scuola dell’infanzia per tutti.
E l’Italia vive una condizione simile a quella transalpina: con il 95% di copertura, si trova in una condizione simile a quella francese che arriva al 97%, a fronte di una media europea di bambini all’asilo che si ferma al 70%.
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