La nuova chiamata diretta, su cui nei giorni scorsi è arrivato l’accordo tra Miur e sindacati, contiene un passaggio “pericoloso” da approfondire.
Dalle informazioni sull’accordo politico che abbiamo ricevuto in questi giorni è emerso che la procedura che porterà ad assegnare l’incarico triennale di un docente titolare di ambito in un istituto dipenderà principalmente dalle candidature, proposte attraverso il curriculum su Istanze on line, sulla base dei profili professionali individuati da ogni scuola. La quale andrà a scegliere quattro dei requisiti individuati nella “rosa” che predisporrà il Miur.
Così, ad esempio, scrive repubblica.it, “il dirigente di un istituto scolastico del centro di Roma potrà decidere che alla sua scuola serve un insegnante con alte certificazioni in inglese, che abbia esperienze di Clil (lezioni solo in lingua), preparazione informatica e almeno cinque anni trascorsi con ragazzi disagiati. Chi avrà queste quattro caratteristiche, sarà assunto. Se nessuno le possiederà tutte e quattro, si assumerà chi ne potrà vantare almeno tre. Se ci saranno due docenti con quattro caratteristiche entrerà, a questo punto sì, quello con maggiore punteggio”.
Sin da subito è stato ravvisato il paradosso che un posto vacante potrebbe finire di essere assegnato ad un insegnante privo di tutti i titoli previsti dalla scuola. Quindi all’antica, ovvero sulla base dell’anzianità di servizio. E senza il temuto colloquio. Con i sindacati cantare vittoria. E anche Miur a complimentarsi con loro per la soluzione trovata.
A più di qualche docente, però, questa formula non convince. Perché tutto ruota attorno non alle candidature, che possono essere all’altezza o meno, ma alla tipologia di insegnante che richiede l’istituto scolastico.
La Tecnica della Scuola ha già fatto presente che “l’inserimento del Curriculum, in particolar modo delle voci richieste, è irrilevante rispetto al sapere in quale ambito territoriale ci sarà titolari e cosa indicheranno, come titoli richiesti, le scuole di quell’ambito”.
E proprio questo è il punto da verificare: cosa indicheranno le scuole come titoli necessari per ricoprire il posto libero? Perché se è vero, come scrive il nostro Lucio Ficara, che “i requisiti non sono a discrezione del DS, ma in stretta relazione al PTOF”, è altrettanto vero che l’individuazione dei singoli requisiti dovrebbe spettare ai presidi. I quali, potrebbero decidere “incrociare” titoli o servizi particolari. Come l’esperienza con ragazzi disagiati, per riprendere l’esempio di repubblica.it. Oppure, l’aver svolto corsi di formazione mirati. Qualcuno paventa anche l’aver pubblicato testi inerenti la disciplina. Ora, se così fosse, questo genere di assegnazione dei docenti si avvicinerebbe molto a quelle di stampo universitario. Dove, purtroppo non di rado, si bandisce un concorso, anche per soli titoli, sulla base di requisiti che solo un candidato può avere. Con la selezione che diventa una sorta di pro-forma.
Per scongiurare tale rischio, che potrebbe far rimpiangere addirittura la chiamata diretta “primogenita”, quella insita nella Legge 107 comprensiva di colloquio col dirigente scolastico, è bene che in questi giorni i sindacati – impegnati nella definizione della sequenza contrattuale – riescano a restringere il campo dei requisiti da cui ogni scuola estrapolerà i quattro per assegnare al posto libero. Già ne sarebbero stati individuati una trentina. Forse diventeranno anche di più. Premesso che è bene che non siano troppi, l’importante è che non siano personalizzabili dai dirigenti scolastici. Nemmeno in minima parte. Nel senso che rimangano quelli imposti dal Miur, senza possibilità di mutarne le caratteristiche. Il rischio di ritagliare dei profili ad personam, apparentemente aperti a tutti ma di fatto già predestinati, va stroncato a monte.
In caso contrario, in quelle scuole dirette da capi d’istituti più “realisti del re”, si potrebbe passare dalla chiamata diretta a quella eterodiretta. Con buona pace di chi dice che l’anzianità di servizio è roba dell’altro secolo.
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