C’era una volta la scuola in cui regnava la libertà d’insegnamento e, la figura del professore di quella scuola del passato, era una figura rispettata e molto considerata sul piano sociale e culturale.
Questo è il rimpianto diffuso tra molti insegnanti di oggi, incantati nel ricordo di una scuola che ormai non esiste più, una scuola che, comunque la si voglia pensare, ha inciso profondamente, attraverso i suoi percorsi educativi e per merito principale della categoria degli insegnanti, sullo sviluppo sociale ed economico del nostro Paese.
Il corpo insegnante, bisogna sempre ricordarlo, ha dato anche un contributo fondamentale per lo sviluppo democratico della Nazione.
Oggi non è più così, tutto è cambiato, anzi la visione sociale che viene data degli insegnanti si è addirittura capovolta, si è quindi passati, con un’ accelerazione nell’ultimo quinquennio, dalla libertà d’insegnamento alla responsabilità del fallimento del nostro sistema scolastico.
Il corpo docenti del nostro Paese è oggi percepito come socialmente marginale, viene scarsamente considerato, tranne rare eccezioni, sul piano sociale e culturale, infine, è necessario sottolinearlo, i docenti sono stati messi sul banco degli imputati come primi responsabili del disfacimento del sistema della scuola pubblica.
Questo grave capo d’imputazione, che colpisce la classe degli insegnati del Paese, indebolisce ancora di più la categoria del personale docente, che oltre ad essere malpagata e ad essere considerata socialmente irrilevante, subisce anche l’onta di essere additata come responsabile dell’insuccesso formativo dei propri studenti.
Queste sono le basi fondamentali che hanno spinto con convinzione gli esperti del Miur ad approvare nel decreto legge n.104 del 12 settembre 2013 una norma che obbliga, per le scuole dove i risultati dei test Invalsi sono al di sotto della media nazionale, gli insegnanti a seguire corsi di formazione e aggiornamento, al fine di raggiungere lo scopo di aumentare le conoscenze e le competenze degli alunni, ma anche di incrementare le competenze di gestione, di programmazione e informatiche dei docenti.
Con questi provvedimenti legislativi e con la continua e rafforzata autonomia decisionale dei dirigenti scolastici, si colpisce indiscriminatamente la classe docente italiana, si limitano fortemente i principi costituzionali della libertà d’insegnamento e c’è il concreto rischio di compromettere definitivamente il buon funzionamento della scuola pubblica, che ha nella maggior parte del suo corpo docente la parte migliore delle sue energie potenziali.
La strada da percorrere sarebbe un’altra, che scorre nella direzione opposta a quella intrapresa. Bisognerebbe puntare nel riconsegnare alla classe docente la dignità sociale perduta, valorizzando la professionalità di questo ruolo e retribuendolo adeguatamente. Bisognerebbe avere il coraggio deontologico, di distinguere, come è noto a tutti nelle singole comunità scolastiche, i bravi insegnanti dalle cariatidi che non riescono nemmeno a gestire una classe. I bravi insegnanti sono anche ottimi comunicatori, grandi motivatori, veri e propri leader carismatici in grado di catalizzare l’attenzione dei propri alunni anche per ore, questi non hanno bisogno di formazione per raggiungere il migliore risultato possibile con le proprie classi, poi ci sono quei docenti che per indole caratteriale non riescono nemmeno a gestire l’ordine e la disciplina, costoro, ma per fortuna sono una piccola minoranza, non sono recuperabili con corsi di formazione, ma c’è da dire che hanno solo sbagliato mestiere. Il fatto che a causa di una sparuta minoranza di docenti che non hanno le particolari e peculiari capacità per fare gli insegnanti, si colpiscono i principi costituzionali della libertà d’insegnamento, il principio della valorizzazione professionale, rischiando di compromettere e debilitare le forze sane che nella scuola pubblica ancora esistono e resistono.
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