Basta chiedere ai presidi e ai docenti, ma anche a studenti e genitori. L’intervista sul Giornale di Vicenza al coordinatore dei dirigenti bassanesi, Mauro Lago, riassume bene la complessità di questi giorni. Eppure, nonostante più di duemila presidi, su ottomila, abbiano chiesto al governo un periodo in DaD, vista la situazione, credo che lo stesso governo abbia fatto bene a confermare l’apertura delle scuole. Per tante ragioni. La principale la definisco “principio del meglio possibile”.
Cioè, visti i tempi, il meglio di scuola che è possibile è una buona decisione. Perché, assieme alle strutture sanitarie, le scuole sono sì in prima fila, ma, assieme a tutti i mondi sociali e del lavoro, devono cercare di garantire, per quanto possibile, il massimo possibile. Perché anche questo massimo possibile è già un insegnare e vivere chiamato a dare peso e sostanza ai percorsi di studio e ai rispettivi temi culturali.
Insomma, anche in questo modo si insegna e si vive la complessità del nostro tempo, e ci si educa a dare ognuno il meglio di sè, sapendo, infine, che la scuola stessa non è solo una fila di nozioni e di verifiche degli apprendimenti, ma, prima ancora, prendersi cura della vita delle persone e del contesto sociale, e facoltà di imparare dalla vita stessa, attraverso l’arte socratica del domandare ragione. Non solo. Attraverso il fare scuola, il fare cultura, si educa e ci si educa alla virtù della prudenza su tutti gli aspetti della vita. Pensiamo ai bambini e ragazzi fuori dalla scuola, a casa, con gli amici, in tutte le attività che li impegnano. Educare che è perciò un educarsi.
A scuola, poi, guardandosi negli occhi e vivendo assieme, si impara a ridimensionare ogni forma di fondamentalismo, perché non c’è libertà senza il farsi carico del destino comune. Con domande di conoscenza che vanno costruite secondo metodo e merito, senza fideismi pregiudiziali, quelli che vediamo soprattutto nei social, compresa la presunzione di poter dire qualcosa solo perché si è navigato un po’ in rete. Quei fideismi irrazionali che stanno portando alcuni pazienti a farsi accompagnare dall’avvocato nei reparti ospedalieri, o di alcuni genitori che mandano diffide alle scuole con pretese assurde. Creando conflitti in casa, tra genitori e tra genitori e figli. Perché sui vaccini e sulle politiche sanitarie non ci sono più opinioni, che sono delle conoscenze ancora fragili e bisognose di confronto e verifica, ma solo fedi ideologiche.
Anche a scuola, dunque, si impara la complessità della vita. E cercare, per il massimo possibile, di garantire luoghi formativi aperti ed in presenza, in questo frangente difficile, è un bel segno, per tutti. Nella speranza che, scemando un po’ alla volta questa pandemia, di suoi effetti negativi, si possa ritornare a fidarsi gli uni degli altri, e ad affidarsi delle conoscenze e competenze. Sapendo, per chiudere, che lo stesso sapere non si identifica con questa o quella opinione, più o meno certificata, ma con lo sforzo in comune, con la capacità di mettere in comune passione, dialogo, confronto, fatica della ricerca. Scuola cioè come palestra di vita.
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