Le prove Invalsi misurano il livello di competenza raggiunto dagli studenti: riguardano l’italiano, la matematica e l’inglese.
Molte scuole, per facilitare il superamento del test, richiedono agli studenti di affrontare i quesiti posti negli anni precedenti: molte le pubblicazioni disponibili.
Si tratta di una scelta miope, perché dimentica l’obiettivo delle prove Invalsi: esse valutano l’efficacia del servizio scolastico; rilevano le competenze generali maturate dagli studenti. Dalla loro analisi si desumono le loro capacità, il cui sviluppo è la finalità del servizio educativo.
E’ lecito ipotizzare che l’origine di tale scelta sia la gestione delle scuole, orientate, ancor oggi, alla trasmissione del sapere, come dimostra la tradizionale centralità del libro di testo.
La promozione delle capacità, invece, implicherebbe l’unitarietà delle proposte didattiche: un vincolo per la progettazione dei singoli docenti.
Se la gestione delle scuole è all’origine del fraintendimento, allora il nodo problematico è la sua direzione. I dirigenti non sono dei tuttologi, come oggi si richiede: sintomo inequivocabile della mancata percezione della complessità della progettazione formativa e di quella educativa.
I presidi sono dei funzionari dello Stato.
Il loro compito primario è portare a unità dell’apparato scolastico. Questa si ottiene con l’efficace convocazione degli organismi collegiali: i traguardi formativi sono da elencare, quelli educativi da individuare e da realizzare, quelli dell’insegnamento da attuare.
In rete “Quale formazione per il dirigente scolastico?” propone un primo raffinamento del problema.
Concludendo: all’origine del fraintendimento del significato delle prove Invalsi c’è la sterilizzazione degli organismi di governo della scuola.
Enrico Maranzana