
E se nel mezzo del cammin della sua vita il sommo poeta Dante si ritrovasse oggi, “come per incantamento”, a Roma, più esattamente nel quartiere di Tor Bella Monaca? Come se la caverebbe?
Benissimo, risponderebbe il professore Emiliano Sbaraglia. Una risposta autorevole che noi sottoscriviamo, dato che il docente e scrittore romano ha appena pubblicato, per le Edizioni e/o, “Leggere Dante a Tor Bella Monaca” un romanzo-cronaca sulla sua esperienza di lettore, docente di lettere alle medie e appassionato divulgatore dell’opera dantesca, il resoconto straordinario di dieci anni di insegnamento in un istituto difficile da gestire, in una delle periferie romane più complicate.
Di Tor Bella Monaca sappiamo quello che riferiscono le cronache: spaccio, spaccio e ancora spaccio. Come ha scritto Christian Raimo su Internazionale, “lo spaccio riguarda tutta l’infrastruttura sociale di Tor Bella Monaca: un welfare alternativo a tutti gli effetti’.
In un contesto sociale alquanto degradato, in cui spesso i ragazzini crescono per strada o con un sostegno familiare labile e incerto, come si fa a proporre lo studio di Dante alle medie?
‘Dante è più bello insegnarlo a scuola – scrive Sbaraglia – nella scuola pubblica, periferia o centro fa lo stesso, lo senti più vivo che mai, come fosse seduto accanto a te. Leggendolo in classe, sembra quasi di ascoltare la sua voce che parla agli allievi, rapiti da quei suoni ancora estranei, eppure tanto familiari.
Come riportato dal quotidiano ‘Il Manifesto‘, non è stato facile per il professore Sbaraglia portare Dante tra i banchi di scuola. Non tanto per i suoi alunni, quanto per le loro famiglie, molte delle quali gli chiedevano perché mai insegnare Dante a ragazzi che ancora stentano a leggere e a scrivere.
La risposta – continua Il Manifesto – è stata difficile ma conquistata verso per verso fino a quando Sbaraglia è riuscito nel miracolo di presentare Dante come uno scrittore di tanti secoli fa ma che riesce ancora a parlare a noi, perché in fondo parla di noi. Parla dell’umanità ai suoi limiti estremi, scava nei peccati e nelle attitudini in un contesto mai pacificato, almeno fino al Paradiso.
Temerario Sbaraglia? Intervistato dal Messaggero, il docente dichiara di avere usato Dante per conquistare i suoi alunni. “Certo, riconosce, non è detto che Dante funzioni sempre. È stato un tentativo. Per fare didattica devi anche provare a inventarti delle cose, perché ci sono tanti problemi da affrontare. L’idea è nata per caso, e ho visto che funzionava. Anche grazie all’aiuto del rap: la metrica del rap – continua Sbaraglia – può somigliare a quella dell’ottava dell’Ariosto. Ci sono molti rapper che usano questo meccanismo inconsapevolmente. Se stai in una scuola particolare devi inventarti qualcosa di questo tipo, lo devi fare sempre. Totti e Dante funzionano, ma devi procedere per tentativi”.
“Alla fine – conclude lo scrittore – il padre della lingua italiana si fa strada nel cuore dei ragazzi, che spesso hanno genitori che entrano ed escono dal carcere, e che in classe interrompono continuamente le lezioni, quando va bene”.
Come scrive Carolina Pernigo su criticaletteraria.org, la scuola pubblica nelle periferie più disagiate del Paese è un ambiente in cui non serve essere missionari ma professionisti seri e appassionati, persone che portano la loro competenza e accettano di metterla a servizio, in un contesto tutt’altro che facile. “È però anche uno spazio in cui la passione – per la materia, o per l’umano – viene riconosciuta e genera adesione, anche se in un modo ruvido, fragile, incostante, che bisogna imparare a riconoscere“.