Ora perfino il cappello della World Bank, che elegge la Danimarca “il miglior paese al mondo per far business”. Numeri, scrive Il Sole 124 Ore, che attirano talenti under 30 dal resto d’Europa, Russia, Giappone, Stati Uniti.
Proprio l’istruzione, non a caso, è tra le punte di diamante di un sistema in vetta alle classifiche più disparate.
La Danimarca è prima per “performance nel cambiamento climatico” (Climate Change Performing Index), “paese meno corrotto del mondo” (Transparency International Corruption Perception Index), prima nella graduatoria Forbes sui “Best Countries for Business”, prima nell’ indice della Banca Mondiale sui “paesi dove è più facile fare affari”. Record che si costruiscono fin dai banchi dell’università, aperta all’innovazione e alle matricole internazionali con un’offerta di 500 corsi di laurea e più di 1000 moduli singoli insegnati in lingua inglese.
Ma perché conviene studiare a Copenhagen, Aarhus e dintorni?
L’università è a costo zero per tutti i cittadini dell’Unione Europea. I danesi sopra i 18 anni di età possono accedere agli incentivi garantiti dal “Su”, l’acronimo del programma State Educational Grant and Loan Scheme, gestito dalla Danish Agency for Higher Education in collaborazione con il Ministero di Scienza, Tecnologia e Innovazione.
I giovani che si iscrivono a un corso dopo le scuole superiori ricevono borse di studio a cadenza mensile, con un “bonus” di 12 mesi di copertura in più rispetto alla data prevista per il termine degli studi. L’importo medio oscilla tra l’equivalente di circa 350 euro mensili per i ragazzi rimasti in casa dei genitori a picchi di oltre 700-750 euro per quelli che si sono trasferiti dopo i 18 anni. Senza contare extra e misure complementari: dagli “student loan” – prestiti studenteschi, rimborsabili con un tasso di interesse variabile entro 15 anni – alle mensilità suppletive che si riservano a neopadri (6 rate in più) e a neomadri (12). Un cumulo di benefit che spiana gli studi di 300mila giovani, per un investimento annuo di 11 miliardi di corone danesi (1,5 miliardi di euro). Quasi l’1% del Pil nazionale.
La Danimarca ha assestato, scrive sempre Il Sole 24 Ore, al 12,60% il tasso di disoccupazione giovanile al 31 ottobre 2014, quasi 10 punti sotto la media Ue (23%) e meno di un terzo del 43% che si registrava in Italia a settembre. Statistiche che confluiscono nell’età adulta, sia per quantità che per qualità: l’Ocse evidenzia come il 73% dei danesi dai 15 ai 64 anni di età abbia un lavoro retribuito, per un reddito di 25.172 dollari Usa l’anno contro una media Ocse di 23.938
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