In una scuola del trevigiano due famiglie musulmane hanno ottenuto dall’insegnate che i figli non studino la Divina Commedia, perché offenderebbe la loro religione. Come lo possa fare un’opra letteraria appare strano, considerato pure che nel Medioevo, in un oriente lontano e misterioso vivevano il prete Gianni, il Vecchio della Montagna e tutta una schiera di popoli stranissimi e di animali mostruosi. Ma tant’è.
D’altra parte Maometto, in quel tempo, era assimilato al diavolo e Dante lo scaraventa all’inferno, come è pure ben visibile nella Basilica di San Petronio a Bologna, e in altri affreschi e quadri coevi. Tuttavia, da qui a non fare studiare un caposaldo della letteratura italiana a scuole ne corre.
Infatti, il buon Dante ha così stima dell’Islam che nel Limbo, in attesa di salire al cielo, mette i filosofi Avicenna e Averroè e pure il Saladino per il suo valore e la rettitudine.
E sarebbero bastati questi due punti di riferimento per aiutare i due ragazzi a integrarsi nella storia e nella civiltà d’Italia, evitando pure polemiche astruse e lo stracciarsi delle vesti dei populisti nazionalisti, pronti ad ogni occorrenza per additare chi non la pensa come loro.
Una occasione perduta insomma per promuovere la scuola, la didattica come integrazione culturale e una pagina importante di educazione civica.
In questo modo la prof ha invece sottoscritto che del genio dantesco a scuola si può fare a meno, basta solo potenziare qualche altro coevo come Boccaccio, che ci pare anche questa una battuta campata in aria, purché non si garantisce così la sensibilità di chi professa un’altra religione.
Ma non solo.
Se la prof avesse meglio guardato gli studi su Dante, avrebbe pure saputo che fra Islam e Commedia ci sono tanti puti in comune, come se Dante sapesse, meglio del migliore storico e filosofo di oggi, cosa si agita fra le pagine del Corano e in tutto ciò che riguarda la teologia successiva.
Infatti, già da subito, il viaggio nell’al di là del Sommo Poeta coincide con un altrettanto viaggio ultramondano che Maometto fece accompagnato dall’Arcangelo Gabriele e non certamente da Virgilio, amato dal Nostro. E inoltre, ancora prima che Dante venisse al mondo, girava nelle città più dinamiche dal punto di vista commerciale e di scambio, che Maometto, a dorso di Burak, una mitica soma, avesse visitato l’inferno e il paradiso, non il purgatorio che è invenzione tutta occidentale e medievale, come Marc Bloch dimostra.
Non finisce qui, perché, da quanto è scritto nel “Libro della scala “, fatto tradurre dall’arabo da re Alfonso X di Castiglia e poi ripreso dal castigliano da Bonaventura da Siena in latino, il viaggio di Maometto nel regno oltremondano trova la sua conferma. Maometto in questo antico testo, che Dante di sicuro avrà avuto tra le mani, “traversa gli otto cieli incontrando in ognuno un profeta, fino al trono di Dio; visita quindi il Paradiso con le sue delizie di natura e d’amore, e riceve da Dio il Corano, con i precetti delle orazioni quotidiane e del digiuno. Passato poi all’Inferno, ne percorre le sette terre, e ne contempla i diversi tormenti, ascoltando da Gabriele le spiegazioni sul giorno del giudizio”.
Dunque, in qualche modo, troviamo la quasi simile struttura in cerchi e balzi della Commedia, mentre la stessa legge del Contrappasso è presente nel Libro delle scale; ma anche la città di Dite e le descrizioni delle pene inflitte a determinati peccatori, come i seminatori di discordie, gli iracondi, gli accidiosi e così via.
Allo stesso modo del Paradiso con le sue luci, le musiche e i canti, compresi i cechi angelici, mentre sia Maometto sia Dante, in prossimità di Dio, vengono colpiti da una luce così intensa e forte, così abbagliante che, temendo di accecare, desistono dal proseguire.
Perché abbiamo riportato tale confluenza di temi e visioni (seppure sommariamente non essendo specialisti ma solo lettori mediocri) tra Dante e l’Islam?
Per sottolineare con discrezione che la scelta della collega del trevigiano non è stata ponderata, anche perché poteva essere l’occasione proprio per aiutare gli islamici all’integrazione e a interagire con le nostre tradizioni e la nostra cultura, coi nostri artisti e la nostra letteratura, paragonando e spiegando. Che in fondo, se ci facciamo caso, l’arte, come la poesia e la musica, sono quelle grandi espressioni dell’animo umano che riescono ad accumunare tutte le civiltà e tutto il mondo.
“Siate felici Milioni, al di là del cielo stellato- canta Schiller nell’inno alla Gioia- vive un caro Padre”, lo stesso di Dante e lo stesso di Maometto.
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