E’ doveroso in questo momento, in cui la tenuta sociale economica e politica del paese è sull’orlo di una inquieta fragilità, dare un senso forte alla didattica a distanza, che non eguagli il facile entusiasmo dei tecnocrati e dei fanatici assertori dell’informatica dispiegata, ma parli della relazione e della comunicazione che i nostri studenti stanno imbastendo tra se stessi e il mondo.
Il pressing dei compiti, degli incontri con i docenti, la rigidità di certi sistemi che hanno tradotto senza vergogna la scuola in presenza nella scuola virtuale, sta per creare una bomba emozionale che si sovrapporrà a quella sociale: studenti che cominciano a cedere a manifestazioni di intolleranza, di rabbia, di aggressività, non incanalata facilmente quando si sta tra le quattro pareti di una casa da circa trenta giorni.
Alunni che cominciano a sottrarsi agli incontri chiusi in un mutismo digitale che preserva la loro intimità da una violazione insistente della privacy.
E’ amaro ascoltare e leggere di questioni relative ai voti: “li mettiamo su Argo o non li mettiamo?”, “Si, perché io interrogo!”, “Incontro su skype e interrogo”, “Bene, io sto bene con il programma, ho i voti”.
E quanto altro si può rapportare ed è reso pubblico nei tanti articoli e nei post dei social. Ci vuole pudore in questo momento. Il pudore di chi rispetta la vita e la morte.
La relazione educativa riguarda la persona. E’ un comportamento che crea un filo rosso di comunicazione autentica attraverso cui la nudità del cuore può manifestarsi fiduciosamente. Cosa può significare in questo momento un voto? Cosa può dire ad un docente di come le emozioni negative possano trasformare il bambino, il preadolescente e l’adolescente, che si presenta dinanzi con la sua umanità e, magari, con il suo desiderio di capire quanto l’irreale sia diventato reale?
Mi chiedo quale ascolto venga attivato se la centralità dell’attenzione del docente, ancora una volta, è ripiegata sul sentimento narcisistico di un avanspettacolo chiamata “lezione a distanza”?
Come è possibile sottrarre il tempo della vita e dell’azione gratuita al facile machismo dei curatori digitali che hanno finalmente quella visibilità che ha dato la stura a facili protagonismi e premierati?
Ciò che conta, secondo me, è solo la possibilità di un canale di comunicazione che, attraverso i saperi, possa restituire un equilibrio sul reale a studenti che osservano quanto sta accadendo in primis nelle relazioni dei propri familiari, e, poi, con sguardo incredulo, nel mondo. E’ questo che i docenti dovrebbero intercettare. E fare da argine. E il voto, le valutazioni cosiddette “ufficiali” e quanto altro di formale sembra tessere gli inconsistenti dibattiti restano solo vuoto “un pour parler”.
La vita ora reclama solo il silenzio!
Filomena Castaldo
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