“La scuola deve farsi carico in maniera inclusiva di tutti i bambini con bisogni educativi speciali. Alcuni di questi Bes sono relativi alla disabilità, altri ai disturbi specifici, altri ai disagi socio-economici… ma sono tutti bisogni educativi speciali”. Lo chiarisce l’esperta di disturbi specifici di apprendimento Alessandra Luci, psicologa, psicoterapeuta, già logopedista, che opera presso il Medical Center di Pistoia, durante l’appuntamento della Tecnica della Scuola Live di giovedì 4 novembre.
La psicoterapeuta, specie nei casi di bambini con deficit di attenzione e iperattività, consiglia: “Mai dare come punizione il salto della ricreazione, la mancanza dell’ora di educazione motoria o il salto delle gite. Il ragazzino con Adhd ha proprio bisogno di scaricare un surplus di energie in modo fisiologico, in contesti in cui può farlo serenamente, come la ricreazione. Ed è bene che lo facciano, perché più lo fanno in modo fisiologico meno lo faranno in modo patologico,” spiega. E precisa: “Se quando dovrebbe rilassarsi e scaricare le sue energie, questo bambino viene costretto in aula, al docente successivo lasceremo un bambino esplosivo”.
“I docenti in tutti gli ordini e gradi della scuola italiana sono tenuti a rendersi conto delle difficoltà di apprendimento o di linguaggio o di attenzione dei propri alunni – precisa Alessandra Luci -. Ma attenzione – avverte – gli insegnanti non devono fare diagnosi e non devono parlare ai genitori di patologie. Non si dice a un genitore forse tuo figlio ha la dislessia, piuttosto si dice tuo figlio fa fatica… che dà il senso dell’esigenza di sostenere aiutare il bambino”.
In altre parole, il docente può segnalare al genitore una possibile dislessia? Non in questi termini, si lasci la diagnosi tecnica ai tecnici. L’insegnante segnali una “difficoltà”, una “fatica”.
“Rispetto al quando c’è da fare un chiarimento importante. Secondo la Legge 170 già gli insegnanti di scuola dell’infanzia possono inviare a consulenza specialistica bambini con difficoltà di linguaggio o di orientamento spazio temporale. Insomma, quando un bambino non ce la fa a completare le richieste pedagogico-didattiche che gli altri bambini del suo gruppo completano, allora l’insegnante deve trovare altre strade, attuando formule di didattica personalizzata per uno e due mesi. Ma se anche in questo caso non si vede alcun miglioramento, allora la questione va segnalata alla famiglia, come team docenti o Consiglio di classe, possibilmente in presenza anche del dirigente scolastico. E a quel punto la scuola deve anche inviare una comunicazione scritta alla famiglia”.
E puntualizza: “Vero è che la diagnosi di Dsa si fa a partire dalla fine della seconda elementare, ma il punto è che il bambino dislessico, seppure segnalato in seconda o in terza elementare, dislessico lo è da sempre, quindi prima interveniamo, prima lo aiutiamo…”
Per riassumere, in presenza di un bambino che mostri una difficoltà del controllo sillabico o nel conteggio o estrema lentezza o estremo numero di errori rispetto alla media della classe, su quel soggetto andrà fatta una didattica personalizzata; e se il problema permanesse, il disturbo andrà segnalato al fine di consentire l’intervento degli specialisti.
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