Davvero allarmanti i dati emersi durante la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile, che istituita nel 2002 dall’Organizzazione Internazionale del lavoro-OIL (Ilo in inglese, Oit in francese e spagnolo) si celebra il 12 giugno. La suddetta agenzia delle Nazioni Unite ha il compito di promuove la giustizia sociale e i diritti sul lavoro, anche – per quanto riguarda il lavoro minorile – per richiamare l’attenzione della società civile, in particolare dei governi, di datori di lavoro e organizzazioni dei lavoratori, sull’urgenza di adottare misure per porre fine alle forme di sfruttamento di bambini e adolescenti nel mondo del lavoro.
Quest’anno per la Giornata mondiale contro il lavoro minorile è stato scelto il tema “Giustizia sociale per tutti. Porre fine al lavoro minorile!”
“Tuttavia, ciò che sta accadendo con il lavoro minorile – sottolinea Gilbert F. Houngbo, direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro – è l’esatto contrario della giustizia sociale. Per la prima volta in 20 anni, il lavoro minorile è in aumento. 160 milioni di bambini, quasi uno su dieci in tutto il mondo, sono impiegati nel lavoro minorile”.
E il direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro lancia un allarme e un’accusa: “Ciò che è peggio è che la metà di questi bambini (80 milioni) svolge le forme più pericolose di lavoro minorile, ovvero lavori che mettono a repentaglio la loro salute fisica e mentale. Ma il lavoro minorile raramente avviene perché i genitori sono cattivi o non si preoccupano. Piuttosto, nasce da una mancanza di giustizia sociale. L’antidoto al lavoro minorile indotto dalla povertà è un lavoro dignitoso per gli adulti, in modo che possano sostenere le loro famiglie e mandare i figli a scuola, non a lavorare. Lavoro dignitoso significa porre fine al lavoro forzato, creare luoghi di lavoro sicuri e salubri e permettere ai lavoratori di organizzarsi e dare voce alle proprie esigenze. Significa porre fine alla discriminazione, perché il lavoro minorile spesso colpisce gruppi emarginati”.
Gilbert F. Houngbo è perentorio: “Dobbiamo intensificare la nostra lotta contro il lavoro minorile, sostenendo una maggiore giustizia sociale. Se lo facciamo, la fine del lavoro minorile non è solo possibile. È a portata di mano”.
Ricordiamo che la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Il documento riconosce, per la prima volta espressamente, che anche i bambini, le bambine e gli adolescenti sono titolari di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici, diritti che devono essere promossi e tutelati da parte di tutti.
Dal 1989 ad oggi tutti i Paesi del mondo si sono progressivamente impegnati a rispettare e a far rispettare sul proprio territorio (poi nei fatti spesso purtroppo non è così!) i principi generali e i diritti fondamentali in essa contenuti, tranne gli Stati Uniti. Toh, ma non sono loro il Paese posto ad esempio come “paladino” della democrazia liberale – almeno così sostiene una schiera di Paesi “vassalli” – e dei diritti umani in tutto il mondo? Ma in realtà c’è chi fa notare – come scritto in una pagina web del sito “NotizieGeopolitiche” – che non è l’unica volta in cui gli Stati Uniti d’America non sottoscrivono o non ratificano ciò che possa in qualche modo “vincolare i propri interessi economici, sociali e di ogni genere (non hanno ratificato molti accordi internazionali per i diritti umani”, verificabile anche da una serie di indicatori). Ma già i nativi americani – i cosiddetti ‘indiani d’America’ – impararono a proprie spese, a partire dall’Ottocento, che costantemente i trattati stabiliti furono violati e magari molto spesso rinegoziati a vantaggio del governo statunitense di turno). Sul clima, ad esempio, non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto dopo averlo sottoscritto nel 1997 e sono “usciti e poi rientrati” nell’Accordo di Parigi siglato nel 2015.
“Ma naturalmente – prosegue il suddetto quotidiano on line di geopolitica, riferendosi alla mancata ratifica della Convenzione sui diritti dell’infanzia, sebbene proprio gli Stati Uniti erano stati parte attiva nella stesura del documento finale, che avevano in effetti firmato nel 1995 – di questo non parla mai nessuno, né le Nazioni Unite né le maggiori organizzazioni mondiali per la tutela dei diritti dei minori” (ma non sempre è così, n.d.R.) “né tanto meno i media”.
L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge n. 176 del 27 maggio 1991, come leggiamo nella pagina web www.savethechildren.it/convenzione-sui-diritti-dellinfanzia (dove sono anche riportati altri Protocolli internazionali, tra cui quello del “coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati” e quello “sulla vendita di bambini, la prostituzione minorile e la pornografia rappresentante minori”).
Nel mondo, sono 160 milioni i bambini e adolescenti tra i 5 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile. A livello globale, il lavoro minorile coinvolge sempre più bambini e adolescenti: secondo le stime, in quasi la metà dei casi (79 milioni di minori) si tratta di un lavoro pericoloso con potenziali danni per la salute e lo sviluppo psicofisico e morale.
In Italia, peraltro, lo sfruttamento del lavoro minorile è vietato dalla legge n. 977 del 17 ottobre 1967. Con la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia si è posto un ulteriore elemento complementare e importante, a livello mondiale, per arginare il fenomeno di tale sfruttamento. Viene infatti stabilito che i bambini hanno il diritto “di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso” (un’associazione che in Italia si occupa di queste tematiche è Meter Onlus di don Fortunato Di Noto).
Questa grave violazione dei diritti fondamentali dell’infanzia e dell’adolescenza, solo in Italia riguarda 336mila minorenni tra i 7 e i 15 anni coinvolti in esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali.
Inoltre, il numero dei minori in povertà assoluta ha ormai raggiunto la cifra di un milione e 382mila, il 12,1% delle famiglie con minori (oltre 760mila famiglie) sono in condizione di povertà assoluta, e una coppia con figli su quattro è a rischio povertà. Una proporzione che arriva a un minore su quattro se si considerano solo i 14-15enni.
Tra questi ultimi, per circa 58mila adolescenti, si tratta di casi di lavori particolarmente dannosi per l’impatto sui loro percorsi educativi e il benessere psicofisico, essendo svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico, oppure in orari notturni o comunque percepiti da loro stessi come pericolosi.
In Europa, in un solo anno, un numero elevatissimo di bambine, bambini e adolescenti in più sono stati spinti sull’orlo della povertà, portando, con riferimento all’anno 2021, il numero totale di minori “che crescono in povertà” a quasi 20 milioni, secondo quanto emerge da un Rapporto diffuso da Save the Children, che prende in esame 14 Paesi europei. Viene evidenziato anche che “in Germania, uno dei Paesi più ricchi al mondo, un bambino su quattro cresce a rischio di povertà”. Naturalmente, in altri Stati, è altissima la percentuale di bimbi e adolescenti che “vive al di sotto della soglia di povertà”.
Grazie Ue, quindi! Anche l’aumento della povertà, che ovviamente coinvolge pure i più piccoli, è il “frutto avvelenato” delle politiche neoliberiste di questi decenni. Peraltro, l’ideologia neoliberista controlla, a vantaggio di pochi e facendo pagare la crisi a tutti gli altri, i meccanismi finanziari. E nelle stanze dove si praticano politiche sottomesse ai “poteri forti” si prendono con arroganza decisioni impopolari.
Infine, un ricordo per chi, da bambino, ha lottato contro lo sfruttamento del lavoro minorile: è l’importante esempio di Iqbal Masih, che già all’età di quattro anni lavorava in una fornace in Pakistan e a cinque anni fu venduto dal padre ad un produttore di tappeti per pagare un debito che aveva contratto per i festeggiamenti del matrimonio di una delle sorelle. Da “lavoratore schiavo”, spesso incatenato al telaio e malnutrito, il bambino pakistano a nove anni uscì di nascosto dalla fabbrica, partecipando insieme ad altri bambini a una manifestazione del Bonded Labour Liberation Front (Fronte di liberazione del lavoro), sensibilizzando poi l’opinione pubblica sui diritti negati dei bambini lavoratori e contribuendo al dibattito sulla schiavitù mondiale e sui diritti internazionali dell’infanzia. Diventato in tutto il mondo un simbolo contro lo sfruttamento del lavoro minorile per essersi ribellato ai soprusi e alla violenza, Iqbal, nel 1995, a tredici anni da poco compiuti, fu ucciso con un colpo di pistola alla schiena. Ma di questo piccolo grande “eroe” scriveremo più diffusamente in altra occasione, perché la sua vita e la sua storia meritano di essere ricordate, magari parlando nel contempo di Malala Yousafzai, anche lei giovane pakistana, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 2014 (l’anno prima al Palazzo delle Nazioni Unite a New York aveva lanciato un appello per l’istruzione delle bambine e dei bambini di tutto il mondo) per il suo impegno verso l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione delle donne. Per questo suo impegno due anni prima (il 9 ottobre 2012), all’età di 15 anni, fu gravemente ferita alla testa da talebani armati che la colpirono sullo scuolabus mentre si accingeva a tornare a casa da scuola.
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