Premetto che allo stato attuale persino comprare un biglietto aereo o un paio di scarpe ci espone al rischio di violazione della nostra privacy e che nessuno può dichiararsi esente da un simile pericolo vista la pervasività di internet nelle nostre vite.
Detto ciò, la questione sollevata da Monitora PA nei confronti delle scuole più che risolvere un problema, ha finito con il paralizzare gli istituti scolastici nella loro normale attività. Vogliamo ricordare come sono andate le cose? Molte circolari del MIUR in epoca Covid hanno decretato la didattica digitale al fine di assicurare il diritto all’istruzione degli studenti. Azione lodevole e meritevole.
Nelle stesse circolari si davano precise indicazioni sulla possibilità, nonché opportunità, di utilizzare Google Suite for education, Office 365 Education A1 di Microsoft e Weschool di TIM o altre piattaforme simili al fine di raggiungere tutti gli alunni. Al seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel caso C 311/18, la quale ha dichiarato illegittimo il trasferimento dei dati a Paese terzi, anche in maniera aggregata e anonima, di pronto ci viene comunicato dallo stesso MIUR che l’uso di tali piattaforme ci espone a seri e gravi rischi di violazione della privacy e che le scuole, in quanto enti dotati di autonomia scolastica, dovranno trovare delle soluzioni per arginare il rischio potenziale.
Trovo pilatesco questo modo di scaricare sulle scuole certe responsabilità, tuttavia, proverò a dire quali potrebbero essere le tragicomiche soluzioni a cui ci espone questa politica dello struzzo. Uso di Meet fortemente limitato. Niente lezioni o riunioni on line. Attualmente ho un’alunna in una comunità di minori, non saprei davvero in che modo raggiungerla se non con il telefono. Non utilizzare i nomi degli alunni in gmail. Lettere inviate a mano ai Servizi Sociali in caso di alunni segnalati e risposte ricevute con l’aiuto di un piccione viaggiatore.
D’accordo, siamo all’interno di una guerra che oserei definire coloniale. Le piattaforme statunitensi hanno ormai il predominio di internet. Si potrebbe stilare un contratto con loro che assicuri il non trasferimento dei dati a Paesi terzi, magari alla modica cifra di tre euro per alunno e personale. Moltiplicate per una media di 1.200 alunni per scuola e di 150 docenti. Quanto fa? Tuttavia, nel mondo labile di internet e dell’on line anche questo rischia di essere un fuoco di paglia. Chi pretende questi dati è il Congresso nazionale degli USA per una questione di sicurezza nazionale. Può gerarchicamente un contratto economico avere prevalenza su una legge nazionale? Va bene, direte, rivolgiamoci a piattaforme locali o europee.
Fantastica idea. Chi vi assicura che domani Microsoft non compri la compagnia trentina o quella francese che avete scelto? Arrendiamoci, non è possibile ritornare all’epoca del traino con i cavalli a patto di rinunciare alla scuola moderna 4.0, con fibra ultraottica e monitor in ogni aula.
Non si possono avere entrambe le cose. A meno che il MIUR non prenda il coraggio di avviare, lui sì, una piattaforma pubblica, come SIDI, che garantisca il non trasferimento dei dati, la non cessione della sua proprietà a compagnie estere né nel presente né in futuro perché patrimonio dello Stato italiano. Questa sarebbe stata la scelta ragionevole e realistica che ci saremmo aspettati.
Rosa Elena Salamone
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