Un’Italia a due velocità. È quella che emerge dall’indagine Ocse-Pisa 2012 sulle competenze degli studenti quindicenni in matematica, scienze e lettura. Con eccellenze matematiche al nord est e risultati molto al di sotto della media internazionale al sud. Trento, Friuli Venezia Giulia e Veneto al top con Olanda e Finlandia. Sicilia e Calabria giù, nelle posizioni più basse, assieme a Romania e Bulgaria. Insomma è un’Italia spaccata in due.
E i dati Ocse-Pisa scatenano reazioni diversificate: c’è chi chiede di cambiare le regole, anche quelle di valutazione. C’è chi i titoli di studio. Chi, invece, i destinatari degli investimenti.
Andiamo per ordine. Secondo Roberto Campanelli, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti “le prove, svolte da 31.000 ragazzi 15enni in tutta Italia rimarcano ancora una volta la distanza tra la media Ocse e quella italiana. Aldilà dei dati, prevedibili a seguito di 10 anni di politiche di austerità sulla formazione, riteniamo che queste prove siano insufficienti a valutare lo stato dell’arte del sistema scolastico italiano e le competenze degli studenti”.
“Ad oggi purtroppo – continua il rappresentante degli studenti Uds – finiscono solo per promuovere politiche di riforma dell’istruzione che non mettono al centro gli studenti”. Per Campanelli, “valutare il sistema scolastico italiano è possibile solo ripensando la valutazione nel suo complesso. Non è possibile se si tiene conto della valutazione standardizzata, ma solo se si analizzano anche altri parametri e si incrociano altri dati: la dispersione scolastica della regione di riferimento, l’offerta formativa delle scuole, i metodi didattici utilizzati, la condizione socio-economiche di partenza dello studente, l’autovalutazione dello studente rispetto alla sua scuola e al suo percorso formativo, le condizioni socio-culturali del territorio di riferimento”.
La Lega Nord la pensa diversamente: secondo oil capogruppo della commissione cultura della Lega Nord a Palazzo Madama, Gian Marco Centinaio, l’Ocse ha certificato “ancora una volta che la secessione culturale tra Nord e Sud è una realtà. Insomma, quello che diciamo da tempo e che ci ha fatto bollare come beceri razzisti è invece una comprovata verità. Il divario tra la preparazione degli studenti del Nord e quelli del Sud è molto marcata per questo è necessario abolire il valore legale del titolo di studio che – conclude il leghista – è ormai chiaro essere un sistema di valutazione del tutto falsato”.
Di altro avviso è Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir: “i dati Ocse-Pisa sul divario Nord-Sud ci amareggiano, ma purtroppo non ci sorprendono: questi numeri – dice il sindacalista autonomo – non fanno altro che certificare il gap di investimenti che lo Stato ha riservato alle regioni, abbandonando di fatto quelle meridionali. Per tutti vale quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha fatto sì che il tempo pieno nella scuola primaria è stato attivato solo per il 3 per cento degli alunni. Mentre il tempo pieno in Lombardia è presente nel 90 per cento delle scuole primarie”.
Secondo Pacifico “siamo riusciti nell’impresa di abbattere i fondi destinati a combattere l’abbandono scolastico. Con le regioni più avanti che hanno tamponato. E quelle più arretrate che stanno sprofondando. Mentre il decollo dell’apprendistato e l’obbligo formativo fino a 18 anni, le carte vincenti per sovvertire il trend – conclude il rappresentante Anief – sono rimasti solo dei progetti sulla carta”.
Una posizione meno dura, ma altrettanto critica è quella di Francesco Scrima, segretario generale Cisl Scuola. Per il quale, ” considerato che nel periodo preso in esame (2003-2012) si sono avvicendati quattro diversi governi (il quinto, quello attuale, non entra ovviamente nella partita) va consigliata cautela”. Anche se si sono ravvisati del progressi, questi “ci portano comunque ad attestarci su posizioni inferiori alla media Ocse, mentre al nostro interno permangono gli squilibri ben noti fra aree territoriali. Una situazione ancora carica di problemi, dunque, ma che segnala una vitalità del sistema scolastico, capace nonostante tutto di ottenere risultati”.
“Sul nesso che lega quantità delle risorse investite e risultati raggiunti, è giusto che si ponga l’accento sulla qualità della spesa, prima che sulla sua entità, purché – ha aggiunto Scrima – non si pretenda di considerare quest’ultima come fattore irrilevante. Si prenda intanto atto che nel periodo considerato (2001-2010) solo Islanda e Messico fanno compagnia all’Italia come unici paesi ad aver diminuito, in area OCSE, il proprio volume di spesa in istruzione (per noi l’8% in meno) “.
Tra i commenti meno critici c’è quello di Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola: “i nostri ragazzi migliorano nelle loro capacità linguistiche e matematiche. La nostra scuola non è poi così male; è una delle parti migliori del nostro paese”, sostiene il sindacalista confederale. Che poi aggiunge: “la sfida per il Governo e il Parlamento è investire sul futuro, sostenere l’innovazione, riconoscere e valorizzare il lavoro di quei tanti insegnanti che con passione e competenza stanno facendo sforzi straordinari, considerando che, per i tagli subiti, l’Italia è ai primo posti insieme ad Islanda e Messico. Rimane un grande problema per il Sud, sintomo di una situazione di disagio profondo che deve essere affrontata come priorità da qualunque Governo”, conclude Di Menna.