Gli esiti dell’ultima indagine PISA condotta nei Paesi OCSE sta mettendo in difficoltà gli analisti.
Da “sinistra”, dopo aver giurato e spergiurato per un decennio che gli scarsi risultati dei nostri studenti erano dovuti alla riforma Moratti e ai tagli di Gelmini e Tremonti, i commenti arrivano con il contagocce, perché se si dovesse essere conseguenti bisognerebbe dire gli studenti imparano di più e meglio pur stando a scuola meno ore.
Da “destra” Centemero fa sapere che i risultati sono appunto la logica conseguenza della riforma Gelmini, mentre l’Unione degli Studenti non sapendo che pesci pigliare sostiene che l’indagine è falsata.
L’unico dato certo (ma questa è storia vecchia e non si tratta certamente di un elemento di novità) è che nelle regioni del nord i risultati sono migliori e che il divario nord-sud, quando tutto va bene, resta invariato ma non diminuisce affatto.
Il fatto è che correlare gli esiti di apprendimento ad uno o due fattori è una sciocchezza colossale.
Dire che i risultati peggiorano perché diminuiscono le ore di insegnamento è una stupidaggine e sostenere il contrario ugualmente.
Negli anni ’50 la scuola elementare funzionava per 25 ore settimanali (5 ore tutti i giorni, con il giovedì libero), il liceo classico ha poche materie fondamentali con un curricolo essenziale e così via.
Il problema vero è che sugli esiti di apprendimento intervengono decine e decine di fattori diversi fra di loro che alle volte si annullano a vicenda. Le buone strutture, i laboratori di alto livello e le biblioteche scolastiche ben fornite sono una gran bella cosa ma se sono inserite in un contesto sociale di miseria materiale e morale servono a poco, forse a nulla.
I ragazzi che abitano una piccola cittadina di provincia dove la vita sociale è “a misura d’uomo” sono forse avvantaggiati rispetto a chi abita in un quartiere di periferia di una grande città. E può darsi anche che abitare in una città d’arte sia un po’ diverso che stare in mezzo a palazzoni anonimi. Ma tutto si può capovolgere se in casa non circolano libri ma solo rotocalchi di gossip.
Eppoi ci sono i gruppi di pari, le amicizie e, perché no, le aspirazioni e forse anche un pochino il DNA di ciascuno di noi.
Insomma le semplificazioni sono quasi sempre sbagliate.
E’ vero che il filosofo Guglielmo da Occam diceva che la spiegazione semplice di un fatto è sempre da preferire, ma è anche vero che l’apprendimento è un fenomeno molto molto complesso. Ridurre tutto al rapporto ore di scuola/investimenti- apprendimento può essere fuorviante.
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