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D’Avenia: il futuro Ministro dell’Istruzione dia una forma relazionale alla scuola, oggi sempre più spersonalizzata e competitiva

Dopo le elezioni del 25 settembre, che hanno visto Fratelli D’Italia vincere in maniera schiacciante, si ragiona sulla futura rosa dei ministri che faranno parte del nuovo Governo guida Giorgia Meloni. Chi sarà il prossimo Ministro dell’Istruzione? Questo è ciò che La Tecnica della Scuola ha chiesto ai propri lettori, che hanno votato in maggioranza, tra le alternative proposte, per Mario Pittoni e Carmela Bucalo.

Altri nomi che sono stati fatti a proposito del prossimo capo del dicastero di Viale Trastevere sono Licia Ronzulli e Anna Maria Bernini, entrambe di Forza Italia. Nel frattempo sono molte le speranze che si ripongono su colui o colei che sostituirà Patrizio Bianchi. Ecco qual è il pensiero di Alessandro D’Avenia, famoso scrittore e insegnante, in merito, pensiero che ha affidato a Il Corriere della Sera.

“Oggi la scuola sembra sempre quel vecchio calpestato, purtroppo anche per un ministero dell’Istruzione diventato dell’Ostruzione perché, dopo 35 anni tra i banchi (13 da studente e 22 da insegnante), credo siano frutto di un’unica radice malata che, se non viene curata, rende inefficace e apparente qualsiasi altro tipo di ‘riforma'”, ha esordito.

La responsabilità del Ministro dell’Istruzione

Ministero (dal latino minusmeno, opposto di magistero, da magis: più, da cui maestro), significa servizio: il ministro è quindi un servitore. Lei lo sarà di quasi 9 milioni di ragazzi e 1 milione di adulti (tra maestri e personale), raccolti attorno a 850 mila cattedre. Cattedra significa sedia (non è il tavolo), da cui cattedrale, la chiesa sede (dove c’è la sedia) del vescovo. Ogni classe è una cattedrale dell’umano, luogo sacro, perché sacro è ciò che è unico e inviolabile (ogni vita). Queste cattedrali, chiamate scuola, sono uno dei due luoghi (l’altro è l’ospedale) su cui misuro la civiltà e l’avvenire di uno Stato. Lei è quindi un papa al servizio di 850 mila cattedrali fatte di 10 milioni di persone, cioè un sesto del Paese, il sesto a cui, per ragioni anagrafiche, appartiene più futuro”, continua lo scrittore rivolgendosi in prima persona al futuro Ministro.

“Dirò di più, il popolo a lei affidato viene dal futuro, perché il futuro non sta dopo né fuori di noi, ma già dentro, come seme che aspetta di fiorire, solo a patto che, chi ne è portatore, ne diventi consapevole scoprendo la sua chiamata, quella per cui Socrate è stato messo a morte con l’accusa di insegnare ai giovani nuove divinità (faceva Scuola). Per questo futuro di carne lei ha a disposizione annualmente 45 miliardi di euro delle nostre tasse, 7 mila euro l’anno per ogni studente. Non sono pochi per riuscire a fare ciò che serve. Ma che fine fanno? Vanno dove va a finire gran parte del nostro lavoro nella scuola di oggi: non in classe ma in burocrazia, non in tempo per i ragazzi ma per un sistema che ha reso difficilissimo a noi insegnare e quindi a loro imparare”, aggiunge critico.

Ecco cosa è diventato il sistema scolastico secondo D’Avenia: “La scuola ha sposato, a livello strutturale e organizzativo, il pensiero dominante: utilitaristico (eliminazione di materie ritenute ‘inutili’ ma che sono indispensabili per coltivare ciò che è umano nell’uomo), tecnocratico (più tablet che insegnanti stabili e appassionati), spersonalizzato (programmi uguali per tutti, test ed esami standardizzati) e competitivo (modello aziendale). I ragazzi sono così diventati oggetti di aspettative (risorse) e non soggetti di possibilità (creatori di risorse), e infatti dalla scuola scappano o ne escono senza capire se avesse a che fare con la vita”.

Come riformare la scuola?

Come cambiare davvero la scuola? “Il suo ministero è di fronte a una svolta: poter rinnovare la scuola con un umanesimo che definisco carnale (cura di tutta la persona e non solo di un cervello senza corpo). Qualsiasi riforma rimarrà di superficie se prima non ci sarà una rivoluzione copernicana dello sguardo, ri-formare significa dare nuova forma e la forma di cui la scuola italiana ha bisogno è relazionale, dalla disposizione dei banchi alla formazione dei nuovi maestri”, afferma l’insegnante.

Ecco qualche esempio: “Un cambiamento di prospettiva potrebbe simbolicamente cominciare con una sua circolare che obblighi a: fare una colletta per mettere una bella pianta in ogni classe di cui a turno tutti si prenderanno cura; far ascoltare in silenzio della buona musica (che vuoto d’armonia nella formazione scolastica!) in apertura di giornata; far formulare l’appello mattutino non per giustificare l’assenza ma la presenza, del maestro, che potrebbe, dopo aver risposto in prima persona, chiedere a ogni singolo discepolo: ‘Sei presente? Per chi e cosa? Che cosa sarai e farai oggi che puoi essere e fare solo tu, insieme a noi?'”.

“Delle singole tappe dei miei 13 anni di scuola non ricordo i contenuti delle lezioni, ma il rapporto con uno o due maestri che mi hanno cambiato la vita mentre facevano lezione: quelle relazioni – continua – sono la ri-forma della scuola, le definisco infatti re-lezioni“.

“Ci vorrà il coraggio di chi permetterà ai frutti di maturare anche se non sa se ne godrà, come mi disse un palestinese: ‘nel deserto chi semina datteri, non mangia datteri’, perché ci vogliono almeno due generazioni perché quel terreno dia frutto. Terra e semi fanno sempre il loro compito, ma solo se affidati al ministero di un bravo giardiniere. Mi auguro sia il suo. Buon lavoro, di cuore”, conclude Alessandro D’Avenia.

Redazione

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