In questi giorni si è parlato molto di occupazioni a scuola, soprattutto dopo le parole di condanna del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Il docente e scrittore Alessandro D’Avenia ne ha discusso a Il Corriere della Sera, facendo anche alcune riflessioni più ampie.
Ecco il suo pensiero in merito alle occupazioni: “Ci sono da tanti anni e rientrano nel paradosso degli amori traditi che portano alla violenza: non mi hai dato quel che mi aspettavo e io distruggo tutto. Negli anni è diventato un cliché, un rituale che mima un desiderio di cambiamento ma non ottiene nulla. Se io studente occupo perché voglio portare nella scuola il mondo di fuori, non posso farlo chiudendola agli altri. E poi non prendiamoci in giro: la maggior parte degli studenti sta a casa perché una settimana senza studiare fa comodo”.
D’Avenia, partecipando ad alcune autogestioni, ha notato qualcosa negli studenti: “Il desiderio di questa generazione non è meno scuola ma più scuola, una scuola che ti aiuti a leggere il mondo prima ancora che allenarti ad affrontare delle performance”.
“Capita che noi insegnanti non vogliamo che ci tolgano altri giorni di scuola. È l’effetto della quantificazione del sapere: bisogna ottenere performance ben determinate e questo mette in ansia tutti. Se ripensiamo la scuola come luogo in cui il sapere ha come fine prendersi cura di se stessi, potremmo rimuovere persino l’ansia da prestazione. La sentiamo già nel lessico: profitto, rendimento, crediti, debiti. Anche questo crea ribellione negli studenti. Ci stanno dicendo: vi occupate della mia perfomance, non di me”, ha aggiunto.
“Se i ragazzi percepiscono che il tuo stare con loro è al servizio della crescita, come il giardiniere che pota le piante perché diano il meglio, stanno al gioco e lo prendono sul serio. Se la regola invece serve a controllarli, si ribellano, tanto più nell’età fatta per mettere alla prova l’autorità. Il discorso sulla disciplina ha senso se è dentro la cura, il resto sono chiacchiere. Se invece si usa solo la paura, implicitamente ammettiamo che quello che insegniamo non vale di per sé. Io ogni tanto mi chiedo: se per un mese togliessimo le interrogazioni i ragazzi continuerebbero a studiare? Se no, chiediamoci che cosa stiamo facendo”, ha concluso lo scrittore.
Valditara, ospite di un liceo di Milano, qualche giorno fa ha detto: “Stiamo studiando una norma per far sì che chi occupa, se non dimostra di non essere coinvolto nei fatti, risponda civilmente dei danni che sono stati cagionati. È una presunzione che solo dimostrando di essere del tutto estraneo uno può vincere. Chi occupa, chi compie un atto illecito, deve rispondere dei danni. Questa è una mia riflessione personale: credo che studenti di questo tipo non possano essere promossi all’anno successivo”.
“Se non si dà un segnale forte da un punto di vista disciplinare vuol dire che la scuola non risponde in modo serio. Chi fa questi atti di devastazione non ha, a mio avviso, capito il messaggio educativo della scuola” ha aggiunto Valditara, sottolineando che, comunque, “sarà l’autonomia delle singole scuole a decidere”.
Il ministro di recente ha anche inviato una circolare alle scuole in merito alle occupazioni degli studenti, firmata dal capo dipartimento, Carmela Palumbo.
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