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Davvero i sindacati sono “tutti uguali”? Analisi critica e storia possono rispondere

«Sindacati? per me sono tutti uguali». «Fanno tutti ugualmente schifo». «Per me non esistono: è colpa loro se ci pagano poco». Di chi sono queste frasi? Di persone sprovvedute? No, purtroppo. Sono solo alcuni dei tantissimi commenti di questo tipo reperibili sui social media, spesso a commento di articoli della nostra testata che approfondiscono tematiche relative ad argomenti di rilevanza sindacale. Gli autori di commenti simili, troppo spesso, sono insegnanti.

Indefinito, vago, indeterminato è l’atteggiamento che moltissimi docenti mantengono da decenni nei confronti del mondo sindacale. Una indeterminatezza che acceca, e che impedisce al grosso della categoria di farsi un’idea reale della situazione per assumere posizioni che possano produrre un cambiamento.

Chi firma non è uguale a chi non firma

Chi opera nel mondo della cultura, al contrario, dovrebbe saper distinguere almeno tra chi firma un contratto e chi si rifiuta di firmarlo in quanto lo considera contrario agli interessi della categoria che rappresenta.

Il docente, di solito, sa leggere. Il docente medio dovrebbe quindi — è il “minimo sindacale” — conoscere le leggi riguardanti la Scuola e il proprio Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL): ossia le fonti normative cui è soggetto (giacché il docente deve ubbidire unicamente alle leggi, al contratto e alla propria coscienza). L’insegnante dovrebbe pertanto conoscere la Costituzione, e di conseguenza saper valutare se le norme contenute nel CCNL sono giuste o meno. Se ritiene non lo siano, deve annotarsi i nomi dei sindacati e sindacalisti che le hanno approvate e rivolgersi ai sindacati che, al contrario, non hanno firmato il CCNL medesimo (e che lo contrastano anzi fermamente). Altrimenti, è inutile lamentarsi.

Opporsi attivamente non è limitarsi a mugugnare

Due più due, come è noto, non fa cinque né tre. Se l’amministratore del condominio è inefficiente e non fa gli interessi dei condòmini (ma, ad esempio, quelli del fornitore di gas per il riscaldamento, o della società di pulizie o dei manutentori), i condòmini devono esser pronti sfiduciarlo e sostituirlo. A nulla servirebbe mugugnare ad ogni bolletta e poi disertare le assemblee, oppure andarci e stare zitti, per poi brontolare che «tanto gli amministratori so’ tutti uguali». Perché la Storia la fanno tutti: tanto quelli che combattono attivamente, quanto quelli che se ne stanno nella propria tiepida casetta a guardare la TV; con esiti opposti, naturalmente. E sarebbe assurdo ritenere che ai mali indotti da un amministratore dalla dubbia condotta possa porre rimedio quello stesso amministratore che si comporta in modo dubbio.

L’importanza della memoria storica

Bisogna inoltre coltivare la memoria storica. Anche se ciò risulta particolarmente difficile, in un Paese capace da trent’anni di dar fiducia a politici fino a pochi mesi prima considerati unanimemente impresentabili. Se la categoria docente ha lottato contro un provvedimento fino a far cadere un ministro, dovrebbe anche ricordarsi chi aveva firmato l’introduzione di quel provvedimento nel CCNL (come avvenne — ma è solo uno dei tanti esempi possibili — per il “concorsaccio” di Luigi Berlinguer nel 1999/2000). Così il docente medio dovrebbe non dimenticare chi aveva dichiarato di contrastare sindacalmente una legge avversata da tutta la categoria, e poi non l’ha contrastata (come verificatosi per la “Buona Scuola” di Renzi una volta diventata Legge 13 luglio 2015, n. 107).

Chi crede di opporsi non facendo nulla

Altrimenti non ci si può lamentare, né prendersela con la sorte bizzarra e cattiva, se un CCNL, che la maggioranza assoluta dei docenti considera iniquo (sia dal punto di vista economico che normativo), viene prima concordato e poi fatto passare sopra le teste dei docenti medesimi, incapaci di riconoscere le responsabilità dei firmatari. E non serve a nulla pontificare sui social media che «quei sindacati non mi rappresentano», se insieme possiedono la maggioranza dei sindacalizzati, e se per questo sono riconosciuti dalla legge come “maggiormente rappresentativi”. Sarebbe meglio, invece, prender coscienza del fatto che la maggioranza dei sindacalizzati si raggiunge facilmente, se i sindacalizzati sono solo una minoranza della categoria (il 35%, ossia poco più di un insegnante su tre). Si comprenderebbe allora che, per la legge, chi non è sindacalizzato semplicemente non esiste, e le sue posizioni non contano nulla.

Il problema vero, insomma, è che la stragrande maggioranza dei docenti (il 65%) crede di combattere quei sindacati non sindacalizzandosi: mentre invece, così facendo, permette loro di firmare contratti e gestire la situazione a nome di tutta la categoria, proprio come la legge prevede.

Per cambiare la situazione occorre conoscerla a fondo

E la legge, per meglio sancire questa situazione, prevede pure che, per esser “maggiormente rappresentativi”, non basti conseguire risultati elettorali favorevoli, ma che si debba anche collezionare un elevato numero di iscritti (in un Paese i cui docenti non si iscrivono se non ai sindacati già forti e famosi).

Insomma, docenti e lavoratori della Scuola, se davvero vogliono un cambiamento, devono ricordarsi la Storia, rammentarsi di avere precise responsabilità, e rimboccarsi le maniche. Come per tutto ciò che riguarda la vita del genere umano.

Alvaro Belardinelli

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