Sarà pure leggero, “ecologico” e “STEM”, ma il liceo quadriennale proprio non decolla. Le iscrizioni delle scuole al progetto sono un flop: solo 320 sulle mille auspicate dal ministero. Poche istituzioni scolastiche hanno creduto al miracolo di poter comprimere in 4 anni un percorso educativo per il quale non ne bastano 5, aggiungendovi, per di più, aperture mondo del lavoro, università e Istituti Tecnici Superiori (nonché educazione civica, “transizione ecologica”, sviluppo sostenibile, potenziamento delle discipline “STEM”!).
Eppure la minestra del taglio di un anno alle patrie scuole è più che ventennale. Risale almeno al febbraio 2000: a proporla, l’allora ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (Governo D’Alema), con una legge che prevedeva un unico ciclo settennale di elementare e media, e diploma per tutti a 18 anni.
Nel 2001 la ministra Letizia Moratti (Governo Berlusconi II) propone la secondaria superiore di 4 anni. “Esperti” immaginano un quinto anno facoltativo, collegato con l’università e indirizzato a facilitarvi l’accesso. La congettura si scontra però con la difesa a oltranza del liceo quinquennale, sostenuta ancora, a quell’epoca, da gran parte delle persone di cultura italiane (anche del centro-destra).
Il testimone della staffetta governativa per accorciare la Scuola italiana passa poi al ministro Francesco Profumo (Governo Monti): una commissione ad hoc analizza varie ipotesi per il traguardo del diploma a 18 anni. Un documento finale, corpulento e articolato, si esprime a favore. Si quadriennalizzano intanto le scuole italiane all’estero.
È poi la volta della ministra Maria Chiara Carrozza (Governo Letta), che nel novembre 2013 fa partire la “sperimentazione” in 11 istituti. Ma il 18 settembre 2014 il TAR del Lazio boccia la sperimentazione: non è stato sentito il CSPI (il cui parere è obbligatorio).
Dal 22 febbraio 2014 è ministra Stefania Giannini (Governo Renzi), la quale il 7 novembre 2016 estende la sperimentazione 60 prime classi di liceo, istituto tecnico e professionale.
Il 7 agosto 2017 la ministra Valeria Fedeli (Governo Gentiloni) annuncia la sperimentazione del liceo breve in 100 classi. Notizia ufficiale: non si taglieranno posti di lavoro (benché si tagli un anno — cioè il 7,7% — all’intero percorso scolastico, e sebbene si parli apertamente di risparmio).
Poco dopo Il Fatto Quotidiano scrive: «Un’apposita commissione fino al 30 settembre valuterà le proposte che dovranno distinguersi per un elevato livello di innovazione, in particolare per quanto riguarda l’articolazione e la rimodulazione del piano di studio, per l’utilizzo delle tecnologie e delle attività laboratoriali nella didattica, per l’uso della metodologia CLIL, per i processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado e con il mondo del lavoro». Insomma: si sposta l’attenzione dall’amaro dei tagli al dolce dei neologismi suggestivi (come “laboratoriale”, antifrastico rispetto ai tagli dei laboratori degli ultimi 14 anni).
Sulla stessa linea la nuova accelerata impressa al liceo breve dal ministro Bianchi nel 2021: sperimentazione in mille classi; ampliare gli “spazi didattici” pur abbreviando i tempi. Miracoli della “didattica esperienziale”, del ”learning by doing“ e delle “competenze non cognitive”?
La propaganda governativa (rilanciata da tutti i media) grida da decenni che ovunque in Europa i giovani si diplomano a 18 anni (anziché a 19 come da noi). Eppure, leggendo l’ultimo rapporto Eurydice (rete europea d’informazione sull’istruzione) della Commissione Europea (The Structure of the European Education Systems 2021/22. Schematic Diagrams) si vede chiaramente che la notizia ufficiale (secondo la quale tutta Europa diplomerebbe i ragazzi a 18 anni), non corrisponde ai dati: su 36 sistemi scolastici analizzati (a parte quello italiano), solo 10 concludono l’istruzione secondaria generale entro il 18° anno di età (Spagna, Francia, Malta, Portogallo, Serbia, Turchia, Belgio, Grecia, Paesi Bassi, Austria); tra i quali, però, Belgio, Malta ed Austria concludono comunque a 19 anni l’istruzione secondaria professionale!
Ben 22 paesi concludono l’istruzione secondaria generale al 19° anno d’età (Bulgaria, Cechia, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Croazia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Finlandia, Albania, Montenegro, Macedonia, Bosnia, Svizzera, Islanda); tra essi, però, Cechia, Croazia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Svizzera e Islanda concludono comunque a 20 anni l’istruzione secondaria professionale! La Danimarca la conclude anzi a 21 anni e la Finlandia addirittura a 22!
A 20 anni termina l’istruzione secondaria generale in Slovenia, Liechtenstein e Norvegia; a 21 anni quella della Svezia! E non stiamo parlando del Lesotho o del Burkina Faso, ma di paesi ricchi, che sono modelli di organizzazione civile.
Ma tagliare un anno di scuola produrrebbe un bel “risparmio”. Sole 24 Ore (il cui proprietario è Confindustria) ha calcolato che, se il percorso di 4 anni fosse accettato da tutte le Scuole Superiori, alle casse dello Stato tornerebbero 1,38 miliardi. Forse per questo da 22 anni si insiste tanto sul progetto? E se a qualcuno venisse in mente di chiuderla del tutto, questa “inutile” scuola pubblica che sforna “inutili” conoscenze nell’era delle “competenze non cognitive”?
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