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DdL 1660 “In-Sicurezza”: una legge ultra- reazionaria da Stato di polizia. Fermiamola!

Un anno fa (21 settembre 2023), nell’articolo Il delirio delle pene, scrivevamo, già assai allarmati/e: “Nelle ultime settimane, sul tema legge ed ordine, si è dispiegato un delirio delle pene’, con una valanga di aumenti di pena per i più svariati reati messi in opera in pochi mesi dal governo Meloni, nonché l’invenzione di nuovi reati puniti con la carcerazione“: a cui seguiva l’elenco delle misure di tale delirio law and order. Purtuttavia, oggi i provvedimenti inclusi nel ddl 1660, denominato “legge Sicurezza” (noi la consideriamo “legge In-Sicurezza”) fanno impallidire persino quelli di un anno fa e, con 24 nuovi reati e terrificanti aumenti di pena per i già esistenti, vanno oltre finanche il famigerato codice Rocco fascista, rappresentando l’ordito di legge più reazionario e repressivo non solo dell’Italia repubblicana ma dell’intera giurisdizione europea e “occidentale” dell’ultimo mezzo secolo, con un’impronta feroce da Stato di polizia. Riassumiamo qui alcuni degli articoli più micidiali contro manifestanti, proteste di piazza, occupanti di case, detenuti/e.

Art. 8 – Introduce l’art. 634 bis, che punisce il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” con la pena da 2 a 7 anni “sia per l’occupante sia per chi coopera con esso”. Viene introdotto l’art. 321 bis, che dà alla polizia il potere di sgomberare immediatamente l’immobile occupato.  Art. 10 – Attribuisce al questore il potere di allontanare un cittadino/a da una area urbana fino a 48 ore, con probabile uso prima di manifestazioni. Mette il DASPO urbano a disposizione del giudice quale condizione per la sospensione condizionale della pena. Art. 11 – Ripristina la sanzione penale per il blocco stradale o ferroviario, aggravando la pena da 6 mesi a 2 anni, evidentemente contro scioperi e manifestazioni non autorizzate. Art. 12 e 13 – Il primo abolisce l’obbligo per il giudice di rinviare la pena se la condannata è incinta o madre di un bimbo di età inferiore ad un anno: madre e figli potranno finire in carcere su decisione del giudice. Il secondo aggrava le pene per “chi organizza l’accattonaggio, o induca terzi a farlo”. Art. 14 – Aumenta di un terzo le pene previste per i reati di violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale, portandole da 9 mesi fino a 7 anni, se il fatto è commesso contro un agente di polizia. Art. 15 – Non occorrerà più la querela di parte, ma si procederà d’ufficio nel caso di lesioni personali, anche lievissime, a danno di agenti di polizia in servizio, punite con pena da 2 a 5 anni. Art. 20 – Permette ad agenti di polizia di portare armi senza licenza, anche se non in servizio. Art. 18 e Art. 25 Il primo aggrava le pene per “l’istigazione a disobbedire alle leggi” in carcere (l’art. 415 c.p. prevedeva una pena fino 5 anni) da parte di detenuti/e o “mediante comunicazioni a persone detenute”; il secondo ingigantisce le pene dell’art. 415 bis c.p.(ora fino ad 8 anni) per chiunque in carcere “promuova, organizzi o diriga una sommossa con atti  di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini o con tentativi di evasione”. Ora le pene possono arrivare fino a 20 anni. L’art. 25 prevede pure l’esclusione dei detenuti “istigatori o ribelli” dai benefici penitenziari. Il tutto cancella i già pochi diritti dei detenuti/e, privandoli di qualsiasi dignità residua e sottomettendoli totalmente agli arbitri delle autorità carcerarie. Art. 19 – Estende l’art. 18 per i detenuti in carcere ai migranti nei CPR, sanzionando il loro carattere di carcere.

Al proposito della legge, scrive tra l’altro l’Esecutivo di Magistratura Democratica:Essa coltiva l’ambizione di risolvere – con l’inasprimento di pene, l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di pubblica sicurezza – problemi sociali che potrebbero trovare risposte senza usare la leva penale… Preoccupa la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione di aggravanti) per sanzionare in modo deteriore gli autori di reati fatti nel corso di manifestazioni pubbliche o di iniziative di protesta…. A ciò si aggiunge l’ampliamento delle misure di prevenzione atipiche, con il potere al Questore di vietare a categorie di persone l’accesso ai luoghi ove si realizzano le c.d. grandi opere… Espressione della over-criminalization è anche l’inasprimento delle misure repressive nei confronti di chi occupa case, di chi fa blocchi stradali (anche non violenti)… Come espressione di una logica penale repressiva si segnalano, ancora, le norme in materia penitenziaria che renderanno possibile l’ingresso in carcere di bambini di età inferiore a tre anni; l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria (che incrimina anche atti di resistenza passiva); l’introduzione di ostatività che rendono arduo l’accesso a benefici penitenziari… Anche se il nome del provvedimento richiama la “sicurezza”, molte delle disposizioni di questo decreto non solo non giovano alla sicurezza pubblica ma anzi rendono le città meno sicure per tutti”.

Insomma, la “legge in-Sicurezza”, criminalizzando le lotte sociali, politiche e sindacali, le manifestazioni di protesta e di piazza e persino la resistenza passiva contro le violenze poliziesche, aggrava la politica reazionaria del governo Meloni che tanta prova di sé ha già dato in questi due anni di potere, con l’imposizione dell’Autonomia differenziata, il controllo totale della televisione pubblica, il blocco della cittadinanza per migranti regolari e loro figli in Italia da anni, il progetto del “premierato”, la politica ostativa contro l’aborto e verso le identità di genere, la riscrittura della storia d’Italia, con lo sdoganamento del fascismo storico e delle “imprese” del neo-fascismo del secolo scorso. È un modo sfacciato di riscrivere “de facto” la Costituzione repubblicana. Guai a sottovalutare questo processo distruttivo, guai a non rispondere con forza e rapidamente ad una legge che renderebbe impotenti le proteste, le lotte, gli scioperi dei lavoratori/trici e degli altri protagonisti del conflitto sociale. Facciamo dunque appello ai lavoratori/trici e a tutti i settori combattivi, sindacali, sociali e politici, per bloccare immediatamente questo abominio.

Piero Bernocchi portavoce nazionale Confederazione COBAS

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