C’è un tempo per ogni cosa. Nel caso della Buona Scuola renziana, c’è un tempo, anche, per protestare e poi c’è un tempo per capire e verificare sul campo.
Sarà cioè la realtà effettuale che ci dirà se i timori, le accuse, anche le violenze verbali, erano più o meno legittimi e giustificati. Da parte mia, credo che si stempereranno i toni e le strumentalizzazioni.
Chi è in prima linea però una cosa la sa, da sempre: visto il compito delicato che ogni giorno gli viene chiesto, sa che è tenuto a presentare, oltre le proprie opinioni, cioè dei pro e contro, quel positivo comunque presente anche in questa nuova legge. Sapendo, infine, che, al di lá delle norme, leggi, direttive, sono sempre le persone a fare la differenza. A dire e rappresentare il vero valore aggiunto.
Questa nuova legge, nella sua variante positiva, è evidente che apre una nuova fase della storia della scuola italiana, non più centrata sul modello collettivista e assistenzialista.
Rispetto, cioè, alla logica auto-referente che noi abbiamo ereditato e condiviso negli ultimi decenni, la nostra “società aperta” chiede e pretende altro, cioè la reale pari dignità non solo degli studenti, ma anche di tutti gli operatori della scuola, cioè presidi, docenti e personale.
Il punto caldo, cioè l’etica della responsabilità, la stessa che applichiamo agli studenti durante gli scrutini, diventa un compito per tutti. Senza più maschere, come la mala interpretata libertà di insegnamento.
Come gli studenti sanno che una cosa è il diritto all’istruzione, altra il diritto alla promozione, così noi possiamo dire che una cosa è il diritto al lavoro, altro al posto di lavoro. Il differenziale è quel concetto di merito, che va bene pensato, mai assolutizzato, ma che non può essere più presupposto, ma conquistato giorno dopo giorno.
Anche per i presidi, anzitutto, nel senso che sono ora chiamati ad assumere una ancora più precisa responsabilità sistemica, di cui dovranno rendere conto, e pure per i docenti, ai quali, finalmente, verrà chiesto conto, come a tutti, della effettiva qualità del loro servizio pubblico. Sono tutti all’altezza del nuovo compito assegnato? Lo sappiamo, tutti non sono all’altezza. Sarà giusto, quindi, che una sana valutazione parta da una attenta verifica sul loro operato.
Qualcuno userà male questa responsabilità, cioè i presidi sul personale o i docenti sugli studenti? Il supporto ispettivo da un lato, e dall’altro la certezza del diritto dovranno fare la propria parte.
Questa svolta era necessaria, al di lá dei limiti di questo disegno di legge. Perché sono le persone, nella società, che fanno la differenza, e le persone nel mondo della scuola, per i compiti delicati che sono chiamati ad assumere, devono e non possono non rendersi disponibili alla trasparenza sull’effettivo loro servizio.
L’auspicio che faccio è che ritorni il tempo del dialogo, della condivisione, della collaborazione. Tutti, cioè, al “servizio”.
Le opposizioni, lo sappiamo, in politica come nella società, hanno fatto il loro mestiere, contrastando questa legge, anche se certi toni e certe sceneggiate potevano e dovevano essere evitati, ma ora tutti siamo chiamati a col-laborare, perché sappiamo che il nostro riferimento non sono i nostri ruoli, ma la domanda di futuro dei nostri ragazzi. Siamo tutti al servizio dei nostri ragazzi.
Arriverà anche il momento, dopo un tempo congruo, stemperati gli animi, per i necessari aggiustamenti normativi, per migliorare cioè questo testo di legge? Credo sia giusto, sin da ora, puntare l’attenzione verso questa direzione di marcia.
Sempre nel rispetto da un lato dell’etica della responsabilità personale, e dall’altro del sempre più urgente ripensamento dei cicli scolastici e dei percorsi formativi. Anticipando, infine, la conclusione degli studi a 18 anni, abolendo il valore legale dei titoli di studio.
Resta un capitolo aperto: il ruolo tutto da rinnovare del nostro mondo sindacale, oggi del tutto inadeguato. Basterebbe introdurre due piccole norme, per costringere a questo sano ripensamento: introdurre il limite di mandati per i sindacalisti, in modo che non diventi più una carriera o un trampolino di lancio verso altri lidi, e il vincolo che, una volta in pensione, gli stessi sindacalisti siano costretti alle dimissioni. Per un sano ricambio non solo degli uomini, ma prima ancora delle idee. Da difensori corporativi dello status quo a strumenti per la vera qualificazione delle diverse professionalità.