Il CDM ha licenziato il Testo finale della Delega sull’inclusione della Buona Scuola lo scorso 13 aprile, ma la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del tanto atteso D.Lgs n. 66/17 è avvenuta solo il 16 maggio.
Il Decreto entrerà definitivamente in vigore il 31 maggio p.v. ed i suoi contenuti non presentano novità di rilievo rispetto a quanto già anticipato dal nostro Giornale nelle scorse settimane.
Innanzitutto, estremamente positivo ed apprezzabile è stato lo sforzo dell’Esecutivo nell’accogliere taluni suggerimenti provenienti dalle organizzazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie, quali l’inserimento dell’associazionismo di riferimento tra gli interlocutori dei processi di inclusione scolastica insieme alle famiglie, o anche quello dell’Osservatorio per l’Inclusione Scolastica tra i soggetti che esprimeranno un parere sulla valutazione della qualità dei servizi delle istituzioni scolastiche; e bene anche il recepimento della Classificazione ICF.
Infatti, con il D.Lgs n. 66/17 pubblicato in GURS qualche giorno fa, la famiglia partecipa a tutte le fasi: dalla formulazione del profilo di funzionamento dell’alunno (che sostituisce la valutazione diagnostica funzionale, come chiesto dalle associazioni) alla quantificazione delle risorse da assegnare. Su richiesta delle famiglie, poi, il Piano educativo individualizzato (Pei) entra a far parte del profilo di funzionamento.
Se la prima bozza introduceva la valutazione diagnostico-funzionale (che andava a sostituire gli attuali profilo dinamico funzionale e diagnosi funzionale), adesso, il testo finale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale parla di un «profilo di funzionamento secondo i criteri del succitato modello bio-psico-sociale dell’ICF, ai fini della formulazione del progetto individuale (di cui all’articolo 14 della legge 8 Novembre 2000 n. 328), nonché per la definizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI).
In verità, c’è un po’ di confusione, poiché nel PEI non paiono esserci cenni al sostegno didattico (art .7), mentre i sostegni – incluso quello didattico – sembrano dover essere contenuti nel profilo di funzionamento: quindi a determinare e quantificare le ore di sostegno sarà pare l’unità di valutazione multidisciplinare, oggi sì arricchita di componenti rispetto alla bozza iniziale ma comunque non composta dalle persone che effettivamente conoscono il ragazzo e con un assetto prevalentemente medico.
Una delle novità più significative del testo finale pubblicato in Gazzetta, a parere dello scrivente, è il fatto che la valutazione dell’inclusione scolastica sia parte integrante della valutazione della scuola, tramite indicatori che l’Invalsi andrà a definire. Alla stesura di questi indicatori, razie all’intervento delle principali Associazioni di e per disabili, parteciperà, come detto sopra, anche l’Osservatorio per l’inclusione scolastica istituito presso il Miur (art. 15).
Un discorso più approfondito richiede la “delicata“ questione relativa alle nuove modalità di formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia, di quella primaria e di quella secondaria di primo e secondo grado ed alle nuove procedure del loro reclutamento.
Dopo la pubblicazione in GURS dei Decreti attuativi della Buona Scuola, la materia è ora disciplinata dall’art 12 del D.Lgs n. 66/17 sulla promozione dell’inclusione scolastica (formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria) e dall’art 10 del D.Lgs n. 59/17 sulla formazione ed il reclutamento del personale docente (formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e secondo grado).
La formazione iniziale universitaria specifica degli insegnanti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria sarà caratterizzata da un aumento dei crediti formativi sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale dagli attuali 60 a 120 (art 12 D.Lgs n. 66 del 2017).
In sostanza, i futuri docenti specializzati della scuola dell’infanzia e di quella primaria, durante il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria, oltre ai 31 crediti formativi già previsti dal normale piano di studi, dovranno conseguire ulteriori 60 cfu sulle Didattiche dell’inclusione. Successivamente, potranno accedere ad un apposito Corso di specializzazione in Pedagogia speciale e Didattica dell’inclusione, con il rilascio di altri 60 cfu. Infine, il superamento di tale Corso, costituirà titolo abilitante per l’insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell’infanzia e di quella primaria.
Per la formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e di secondo grado, bisogna invece fare riferimento ad un altro Decreto attuativo della Buona Scuola, e precisamente all’art 10 del D.Lgs 59/17, quello relativo cioè alle nuove modalità di reclutamento del personale docente.
Oggi chi vuole diventare insegnante curricolare e per il sostegno della scuola secondaria deve abilitarsi, dopo la laurea, attraverso un tirocinio formativo (TFA). L’abilitazione dà accesso alle graduatorie di istituto per le sole supplenze. Per entrare in ruolo, infatti, bisogna attendere e superare un concorso. Dal 1999 il primo concorso bandito in tempi recenti è stato quello del 2012 seguito, poi, da quello del 2016. Con lunghi periodi di attesa e di vuoto, senza certezze per le e gli aspiranti docenti.
Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del nuovo decreto e la sua definitiva entrata in vigore, tutte le laureate e tutti i laureati potranno partecipare ai concorsi, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche. I concorsi avranno cadenza biennale, il primo sarà nel 2018.
Dunque, per diventare docente per il sostegno della scuola secondaria di primo e secondo grado, occorrerà superare un concorso ordinario.
I requisiti per accedere al concorso sono i seguenti:
Il concorso prevede tre prove scritte ed un colloquio orale:
• prima prova scritta: ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulla specifica disciplina, scelta dall’interessato tra quelle afferenti alla classe di concorso. Il superamento della prima prova è condizione necessaria per accedere alla prova successiva;
• seconda prova scritta: ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulle discipline antropo-psico-pedagogiche e sulle metodologie e tecnologie didattiche. Il superamento della seconda prova è condizione necessaria per accedere alla prova successiva;
• prova aggiuntiva: è scritta ed è sostenuta dopo la seconda prova scritta, al fine di valutare il grado delle conoscenze di base del candidato sulla pedagogia speciale sulla didattica per l’inclusione scolastica e sulle relative metodologie;
• prova orale: consiste in un colloquio che ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato in tutte le discipline facenti parte della classe di concorso, nonché di accertare la conoscenza di una lingua straniera europea e il possesso di abilità informatiche di base.
Vinto il concorso, si potrà accedere al nuovo percorso triennale FIT (formazione, inserimento e tirocinio), che si concluderà con la stipula del contratto a tempo indeterminato. In pratica, il FIT manda definitivamente in soffitta il precedente TFA.
Durante il primo anno, sarà necessario conseguire un Diploma di specializzazione, dopo la frequenza di un Corso in Didattica dell’inclusione e Pedagogia speciale, con il rilascio finale di 60 cfu.
I futuri docenti specializzati della scuola superiore di I° e di II° potranno completare la loro formazione, nel corso del secondo anno del percorso FIT, attraverso tirocini diretti ed indiretti e supplenze presso istituzioni scolastiche del loro ambito territoriale di appartenenza, con l’acquisizione di ulteriori 40 crediti formativi e, nel terzo ed ultimo anno del FIT, tramite la graduale acquisizione di autonome funzioni di docente per il sostegno con supplenze su posti vacanti o disponibili in scuole dell’ambito scolastico di riferimento.
Durante il periodo di formazione e di tirocinio, il contrattista percepirà uno stipendio di 600 Euro lorde, che aumenterà gradatamente fino all’arruolamento definitivo.
Il superamento del percorso triennale di FIT e delle relative “prove intermedie” e della valutazione complessiva finale, determinerà la definitiva messa in ruolo del docente di sostegno della secondaria di primo e secondo grado.
I docenti assunti a tempo indeterminato sui posti di sostegno possono chiedere il passaggio sui posti comuni dopo 5 anni (come gli attuali) di appartenenza nelle sezioni dei docenti per il sostegno didattico (art 14 del D.Lgs n. 66/17). Nel computo dei 10 anni si considera anche il servizio prestato sul posto di sostegno in epoca antecedente all’assunzione in ruolo a tempo indeterminato, purché il predetto servizio sia stato svolto in costanza del possesso dello specifico titolo di specializzazione.
Il decreto n. 59/17 prevede una fase transitoria che, in prosecuzione con il Piano di assunzioni della Buona Scuola, dovrebbe continuare ad offrire risposte al precariato storico. Saranno esaurite innanzitutto le Graduatorie ad esaurimento e quelle dell’ultimo concorso del 2016. Ci saranno delle procedure concorsuali specifiche per chi sta già insegnando come supplente da tempo. Per le docenti e i docenti abilitati della seconda fascia delle graduatorie di istituto ci sarà un concorso nel 2018 con una prova orale seguita – quando si verificherà disponibilità di posti – da un anno di servizio con una valutazione finale. I partecipanti entreranno in ruolo, dunque, dopo una ulteriore verifica in classe. Le iscritte e gli iscritti nelle terze fasce di istituto, quelli con 3 anni di servizio, potranno accedere a concorsi con uno scritto e un orale, se vincitori accederanno al percorso FIT facendo il primo e terzo anno.
Come dire che per la piena entrata a regime del nuovo sistema ci vorranno diversi anni. D’altra parte, la possibilità stabilita dall’art 14 del D.Lgs n. 66/17 attuativo della Buona Scuola di garantire la continuità didattica dei docenti di sostegno, attraverso la possibilità di confermare per più volte nel corso dell’anno scolastico successivo lo stesso docente con contratto determinato, non depone a favore dell’eliminazione di uno dei mali storici dell’inclusione scolastica italiana e cioè la “supplentite” e di certo non fa ben sperare in termini di qualità del modello.
A ciò si aggiunga che, a mio avviso, resta il ”rebus” della mancata previsione della medesima formazione universitaria iniziale specifica per i docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria e quelli della superiore di I e II grado. Su tale parte del decreto, ritengo che il MIUR debba necessariamente intervenire.
In ogni caso, mi pare che si sia esagerato più sul “quanto” della formazione che sul “come”, trascurandone la qualità ed i contenuti specifici.
Anche a formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle singole disabilità stabilita dall’art. 13 del decreto n. 378, pare un po’ lacunosa, in quanto non prevede alcun obbligo di osservarla. A tal proposito, per ovviare a ciò, il recente “Piano Triennale di Formazione Obbligatorio” per i docenti curricolari e di sostegno in servizio potrebbe costituire un ottimo strumento e una preziosa opportunità da cogliere da parte di tutte le Istituzioni scolastiche, facendo individuare dai loro Collegi docenti l’inclusione scolastica tra le loro “priorità” tematiche.
Invece, valuto positivamente il mantenimento ad un massimo di 20 alunni per classe in presenza di ragazzi con disabilità da parte del testo del D.Lgs n. 66 pubblicato in Gazzetta. Infatti, tale disposizione recepisce quanto previsto dagli articoli 4 e 5 del D.P.R. n. 81 del 2009, intendendo contrastare il proliferare delle classi “pollaio” tanto deleterie per gli alunni con disabilità. Però, resta il fatto che il Decreto non stabilisce l’inderogabilità del numero di 20 alunni per classe in presenza di disabili, prevedendo che ciò avvenga soltanto in virtù della generica dicitura “di norma”.
Circa la spinosa questione della continuità, mentre la prima bozza di decreto prevedeva un vincolo decennale sul sostegno per gli insegnanti, ora nel testo pubblicato qualche giorno fa sulla GURS, all’art. 14, il Governo ha deciso di mantenere l’attuale “vincolo quinquennale”, nelle more di superarlo definitivamente, al momento dell’entrata a regime della nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti. Inoltre, come sopra accennato, i contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati “a docenti supplenti più volte nel corso dell’anno scolastico successivo», in caso di fruttuoso rapporto docente-alunno e con il consenso delle famiglie.
Inoltre, all’articolo 14 dello Schema iniziale di Decreto 378 (continuità didattica) si aggiunte oggi nel testo definitivo del Decreto n. 66/17 uscito in Gazzetta nei giorni scorsi che «al fine di garantire la continuità didattica durante l’anno scolastico, si applica l’articolo 462 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994»: almeno per tutto l’anno l’insegnante di sostegno dovrebbe rimanere lo stesso.
A parere di chi scrive, sulla continuità didattica, qualche ombra rimane, e cioè che il neonato Decreto non prevede nulla per contrastare il fatto che più del 40% degli attuali docenti per il sostegno sono supplenti e hanno incarichi precari “in deroga”. Per ovviare, bisognerebbe rivedere i criteri degli organici dei docenti specializzati, che dovrebbero poter transitare dal presente organico di fatto a quello di diritto delle scuole e prevedere un serio e strutturale Piano di assunzione attraverso appositi concorsi.
In merito alla continuità “negata”, ritengo che il MIUR si sia dimenticato inspiegabilmente della raccomandazione della medesima legge della Buona Scuola che indicava di “vincolare il docente di sostegno all’intero ciclo d’istruzione dell’alunno con disabilità”.
Sull’altro tema “caldo” delle Deleghe, e cioè la valutazione degli alunni con disabilità in sede di Esame di Stato, dopo la pubblicazione dei Decreti attuativi della Buona Scuola in Gazzetta, le mie considerazioni sono positive.
Infatti, l’articolo 12 del D.Lgs. n. 62/17, sulla valutazione degli alunni con disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento, che aveva creato molte perplessità nella sua bozza iniziale, viene ora stabilito: per gli alunni con disabilità certificati il consiglio di classe o i docenti contitolari della classe, possono prevedere per lo svolgimento delle prove standardizzate misure compensative o dispensative, adattamenti della prova o l’esonero dalla prova.
All’esame di Stato che conclude il primo ciclo di istruzione, il vecchio testo diceva che le prove differenziate – qui stava la preoccupazione – «se equipollenti a quelle ordinarie, hanno valore ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma finale», mentre ora, secondo quanto pubblicato in Gazzetta ufficiale, «le prove differenziate hanno valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma».
In definitiva, per quanto finora esposto, questo testo definitivo della Delega sull’inclusione della Buona Scuola, pubblicato sulla GURS in questi giorni, è da ritenersi “vecchio” dal punto di vista culturale e pedagogico.
Esso, infatti, non fa esplicito riferimento all’articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e considera ancora “staticamente” la didattica inclusiva come una prerogativa soltanto degli alunni/studenti con disabilità e non come una preziosa risorsa al servizio dei bisogni educativi di tutti e di ciascuno.
L’attenzione alle differenze individuali di ciascun alunno da parte di tutto il contesto e non solo del docente di sostegno per le necessità degli allievi con disabilità: ecco la vera discriminante pedagogica, lo spartiacque su cui non ha “colpevolmente” insistito il D.Lgs n. 66/17 per transitare definitivamente dalla vecchia dimensione integrativa della scuola italiana alla nuova cultura dell’inclusione “per tutti” (for all).
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