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Decreti L.107, alle superiori sempre meno ore di italiano, matematica e cultura di base

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Negli anni Novanta la prima “sforbiciata”, nel 2008 quella imposta da Tremonti e Gelmini, ora si sta compiendo un altro “ritocco”. Sempre al ribasso.

Stiamo parlando delle ore di didattica “tradizione”, delle materie di base, nella scuola superiore, la cui parabola discendente non sembra avere mai fine: perché lo schema di decreto legislativo recante la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, l’Atto 379, prevede una ulteriore potenziale riduzione di ore. A scegliere se adottarla o neno saranno le scuole, o meglio il Collegio dei docenti. Ma la “licenza” per farlo c’è.

Lo spiega l’Usb Scuola, che parla di “disarticolazione del percorso quinquennale in un biennio seguito da un triennio articolato in un terzo un quarto e quinto anno, con 264 ore del biennio” che “potranno essere ‘personalizzate’ (a vantaggio delle discipline professionalizzanti ndr) o anche, dal secondo anno, sostituite da attività di alternanza scuola-lavoro o contratti di apprendistato”.

Il sindacato di base sostiene che, “come è facile immaginare, questo comporterà la perdita di ore delle discipline non di indirizzo (italiano, matematica, diritto ecc.) impoverendo il percorso di istruzione professionale già minato dalle precedenti riforme (Fioroni e Gelmini) che hanno tagliato in maniera pesante anche le ore di laboratorio”.

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Inoltre, dice l’Usb Scuola, “alla conclusione del triennio è previsto il bivio: gli alunni potranno eventualmente iscriversi al quarto e quinto anno per conseguire il diploma o optare per un solo anno e acquisire il diploma di formazione professionale erogato dalla regione”.

Sono gli istituti professionali, quindi, a rischiare di perdere più ore di didattica “pura”. Perché la Buona Scuola ha anche formalizzato la possibilità di far svolgere, in via sussidiaria, il quarto anno dei percorsi IeFP per il conseguimento del diploma professionale.

Permettendo, quindi, negli istituti cosiddetti “regionali” il rilascio di diplomi di scuola secondaria superiore quasi equiparati a quelli conseguiti nelle scuole statali (l’accesso all’Università non è ad esempio possibile), dopo aver svolto quattro anni formativi all’insegna delle esperienze aziendali e con un magrissimo numero di ore settimanali di “prima area” non specializzanti (italiano, storia, matematica, diritto, lingue straniere e via discorrendo). Insomma, per questi ragazzi la cultura di base si riduce davvero ai minimi termini.

In generale, per l’Usb Scuola “tutto il precorso disegnato dalla delega sembra orientato all’uscita degli studenti dall’istruzione professionale che viene trasformata in una sorta di scuola di avviamento al lavoro gratuito, con alunni che potranno firmare contratti di apprendistato con i privati già dal secondo anno”.

In conclusione, secondo il sindacato questa riforma ci sta regalando “una scuola con una forte connotazione di classe, in cui si opera una forte differenziazione tra stili di apprendimento pratico e astratto, non tenendo conto dello sviluppo educativo del discente e legittimando lo sfruttamento minorile”.

In sindacato esagere? Presto lo sapremo. Perchè, lo ripetiamo, molto dipenderà dalle scelte che faranno le scuole. E anche le famiglie. Però, questo è un dato di fatto, con la riforma dei professionali esiste la possibilità di svolgere meno ore di didattica tradizionale. Quelle che tiene il prof dietro la cattedra, per intenderci. Il tutto, a vantaggio del sapere pratico.

 

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