A fine luglio il Governo ha licenziato in via definitiva il nuovo decreto legislativo in materia di inclusione. Per una prima valutazione del provvedimento abbiamo parlato con Evelina Chiocca, insegnante specializzata, del Coordinamento italiano insegnanti di sostegno che ha seguito la vicenda del decreto fin dalla sua prima versione del 2016.
Fra le modifiche introdotte con il nuovo decreto quali le sembrano particolarmente apprezzabili?
Il Decreto riformato, dalle informazioni acquisite tramite la bozza provvisoria che è stata diffusa e con riferimento ai correttivi proposti dalla VII Commissione della Camera e del Senato e alle dichiarazioni del Ministro (comunicato pubblicato nel sito del MIUR), offre alcuni elementi positivi, fra cui:
Ma c’è qualcosa che riguarda anche PEI e Gruppo di lavoro a livello di scuola, se non abbamo capito male…
Infatti va detto che il decreto ha anche il merito di
E quali sono gli aspetti critici?
Sono parecchi, varrebbe la pena parlarne con calma e diffusamente
Il tema della formazione dei docenti e di tutti gli operatori coinvolti nei processi di inclusione è certamente centrale: a suo parere il decreto se ne occupa adeguatamente?
Come nella precedente versione, anche il riformato decreto non affronta seriamente il tema della formazione dei docenti. È ancora bloccato su una visione “non completamente inclusiva”, nel momento in cui prevede percorsi formativi che escludono una parte del personale dalla “specializzazione”, intesa come “competenze” che tutti i docenti della scuola inclusiva devono possedere. Si insiste sull’idea che l’alunno con disabilità sia alunno esclusivo del docente specializzato, siglando in tal modo, anche dal punto di vista normativo, fenomeni come la delega e la deresponsabilizzazione.
Nelle nostre scuole assistiamo quotidianamente alla delega del progetto inclusivo al solo docente specializzato o incaricato su posto di sostegno, con la conseguente deresponsabilizzazione di coloro che sono incaricati su posto disciplinare o comune. Ma tale indicazione appare palese anche nelle “non scelte” a livello normativo.
Insomma le pare che il tema sia affrontato male…
Infatti, nell’articolo preposto alla formazione del personale della scuola, si nota, a mio parere, una scarsa attenzione: formazione in servizio e aggiornamento incontrano scarsa attenzione; si pensa che la formazione riguardi soltanto i docenti assegnati alle classi in cui sono iscritti alunni con disabilità, facendo in tal modo venire meno il senso della comunità e la necessità di una formazione indispensabile per tutto il personale della scuola. Sui Dirigente scolastici, che sono il perno di una istituzione scolastica, restano le intenzioni, affidate a un futuro provvedimento. Troppo poco!
Per quanto riguarda gli altri operatori, in particolare le figure addette all’assistenza all’autonomia personale e/o alla comunicazione dell’alunno con disabilità resta il comma dell’articolo 3 al quale non è mai seguito un provvedimento che declinasse il mansionario e il percorso formativo. Non si capisce neppure se tale personale sarà coerente con le indicazioni della legge 104/92, che lo prevede per gli alunni con disabilità sensoriali o fisiche.
Il CIIS (Coordinamento italiano insegnanti di sostegno) ha già lanciato una raccolta di firme per chiedere che alcune disposizioni inserite nel decreto vengano riviste. Di cosa si tratta?
La raccolta di firme, in verità, è stata avviata in sinergia con un gruppo di genitori, consapevoli delle storture contenute nel riformato provvedimento e preoccupati del futuro dei loro figli, sicuramente, ma anche di tutti gli alunni e le alunne con disabilità che accedono alla scuola italiana.
L’invito, rivolto al Ministro Bussetti, ai Presidenti delle VII Commissioni del Senato, sen. Pittoni, e della Camera, on. Gallo, e ai referenti istruzione delle forze parlamentari più rappresentative, richiama l’attenzione su alcuni punti focali, evidenziati dal CIIS, Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno, nell’Audizione presso la VII Commissione del Senato, nella consapevolezza che l’intero provvedimento dovrebbe essere riletto e riscritto pensando, prima di tutto, agli alunni.
Cosa segnalate nel vostro documento?
Fra i punti segnalati vi sono le questioni legate al “Piano Educativo Individualizzato”, documento che contiene il progetto annuale a favore dell’alunno con disabilità. Viene fatto presente come, per la prima volta nella storia dell’intero percorso scolastico inclusivo, il PEI venga sottoposto all’approvazione formale del GLO, favorendo il rischio dell’esclusione della famiglia dalle scelte educative nei confronti del proprio figlio, in quanto potrebbe essere messa facilmente in minoranza nel momento del conteggio “dei favorevoli e dei contrari”.
Si richiama la questione dell’apprendimento, diritto “costituzionalmente garantito”, che deve essere riproposto insieme alle altre voci che il decreto elenca. Si evidenziano sia la preoccupazione ai “progetti specifici”, che lascino aperta la possibile formazione di percorsi differenziali, già operativi nelle nostre scuole, nonostante la legge 517/77 e le norme successive abbiano affermato il contrario, sia la inutile definizione “in via provvisoria” (o in bozza) del PEI entro il mese di giugno. Al tempo stesso viene sollecitata l’attenzione sui GIT e sulla loro inutilità, oltre all’oneroso costo per la collettività.
Ultima, non per importanza, la preoccupazione riguardante la formazione del personale docente, non ancora centrata sulle scelte inclusive, ma messa all’angolo da una visione distorta di inclusione, che vede il docente di sostegno come unico insegnante dell’alunno con disabilità (impostazione confermata dall’articolo sulla continuità: un passaggio, questo, più preoccupato a garantire il posto di lavoro, anziché assicurare un diritto che appartiene a tutti gli alunni della classe o della sezione).
Non pensa che per realizzare una scuola davvero inclusiva non bastino buone leggi (che ovviamente devono esserci) ma sia necessario anche fare leva sull’impegno delle scuole?
Sicuramente l’impegno della scuola è fondamentale e non solo per gli interventi pedagogico-didattici promossi, ma anche per il ruolo formativo che essa ricopre sotto il profilo culturale. Tuttavia l’azione della scuola, da sola, non è sufficiente.
E, se è vero che le norme indicano la strada, delineano percorsi, introducono vincoli e possibilità, anche in questo caso, come per la scuola, va detto che le norme da sole, in effetti, non bastano.
Tanto la scuola quanto le norme, rispecchiando una precisa impostazione culturale, possono favorire il diffondersi di una mentalità inclusiva, ma potrebbero anche contrastarla.
La questione coinvolge anche un altro piano, che le norme definiscono e che trova applicazione in ambito scolastico: va considerata, infatti, la formazione del personale della scuola, dai docenti ai dirigenti scolastici, fino al personale ATA.
Facendo riferimento, in particolare, agli insegnanti e ai dirigenti, va precisato che la realizzazione di una scuola inclusiva affonda le sue radici nella formazione di personale “professionalmente competente”, frutto di diffusi percorsi culturalmente inclusivi. E di questo le norme sono responsabili.
Cosa ci vorrebbe per rilanciare davvero il progetto di inclusione che nei decenni passati aveva visto l’Italia all’avanguardia in tutta Europa?
Sono convinta che solo una seria e diffusa formazione, accompagnata da un costante aggiornamento in servizio, possa contribuire a far ri-decollare un processo che, in questo momento, è in balia di orientamenti e ri-orientamenti, che tendono più a riporlo in un angolo o a sfoggiarlo come trofeo nelle grandi occasioni, anziché potenziarlo! Nelle nostre classi devono entrare docenti formati, capaci di lavorare con tutti gli alunni, anche con gli alunni con disabilità, consapevoli dei propri compiti e dei propri doveri, in grado di arginare e impedire il diffondersi di fenomeni come la delega e la deresponsabilizzazione. Solo in questo modo la risorsa del docente “incaricato su posto di sostegno” assumerà significato e valore per l’inclusione.
C’è bisogno, entrando a scuola, di respirare e di percepire “la comunità inclusiva” in cui ognuno sia riconosciuto come persona, indipendentemente dal suo “funzionamento”. C’è bisogno di creare una società in cui ciascuno sia chiamato per nome e non individuato con un’etichetta.
Il percorso, come si vede, è lungo e difficile. Sono più gli ostacoli che gli elementi che lo facilitano. Ma non è questo il momento di arrendersi. Il nostro intento è di andare avanti e di provarci, perché ci crediamo e vogliamo osare ancora.
Ci fermiamo qui, in una prossima intervista approfondiremo gli aspetti “critici” del decreto.
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