Con un articolato parere nell’aprile 2023 la Commissione europea aveva contestato allo Stato italiano il non corretto recepimento nel proprio ordinamento della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, che vieta discriminazioni a danno dei lavoratori a tempo determinato, e obbliga gli Stati membri a disporre di misure atte a prevenire e sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.
Secondo la Commissione UE la normativa italiana non aveva adottato misure sufficienti, per prevenire e sanzionare in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico, tra cui insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola pubblica, operatori sanitari, lavoratori del settore dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica e del settore operistico, personale degli istituti pubblici di ricerca, lavoratori forestali e volontari dei vigili del fuoco nazionali; “alcuni di questi lavoratori – secondo la Commissione europea – hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, situazione che costituisce una discriminazione e contravviene al diritto dell’Unione”.
Per questo motivo era stata avviata una procedura di infrazione con la costituzione in mora alle autorità italiane nel luglio 2019 e nel dicembre 2020.
Sebbene l’Italia avesse fornito spiegazioni sulle proprie norme nazionali, la Commissione le aveva ritenute non soddisfacenti ed aveva assegnato allo Stato italiano un termine per rimediare alle carenze individuate, trascorso il quale la Commissione avrebbe potuto deferire il caso alla Corte di giustizia dell’UE.
Al fine di rispondere alle censure mosse da parte della Commissione sotto il profilo dell’abuso del precariato e della disparità di trattamento rispetto al personale a tempo indeterminato, ed al fine di scongiurare il deferimento dell’Italia dinanzi alla Corte di Giustizia e, quindi, di agevolare la chiusura delle procedure d’infrazione e dei casi di pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano, tra i quali proprio quello inerente le misure per prevenire e sanzionare in maniera adeguata l’abuso dei contratti a termine, con il decreto legge n.131 del 16 settembre scorso il Governo ha introdotto nuove misure allo scopo, apportando una modifica alla disciplina finora vigente.
In particolare, gli articoli 11, 12 13 e 14 del Decreto legge 131/2024 riguardano la procedura di infrazione n.2014/4231, nella quale è contestata all’Italia la violazione della disciplina sui rapporti di lavoro a tempo determinato relativamente al personale scolastico, dei Vigili del Fuoco e delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica.
L’art.12 del decreto salva infrazioni (recante modifiche all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.165, in materia di disciplina della responsabilità risarcitoria per l’abuso di utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato – Procedura d’infrazione n. 2014/4231) in particolare, prevede che
“Nella specifica ipotesi di danno conseguente all’abuso nell’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, fatta salva la facoltà per il lavoratore di provare il maggior danno, il giudice stabilisce un’indennità nella misura compresa tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto.».
Il limite massimo dei risarcimenti in caso di reiterazione dei contratti a termine (anche del personale scolastico), precedentemente fissato a 12 mensilità – è stato quindi innalzato fino ad un massimo di 24 mensilità, avuto riguardo della gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti succedutisi.
Si tratta, a ben vedere, di una misura che è sicuramente più severa rispetto al limite precedentemente in vigore, ma che tuttavia continua ad essere insufficiente, sol se si pensi che nel caso di accertata abusiva reiterazione dei contratti a temine non è prevista nel settore del pubblico impiego la conversione del rapporto a tempo indeterminato e che, ad esempio per i docenti di religione cattolica precari, si sono registrati contratti a tempo determinato che si sono succeduti in alcuni casi per oltre venti anni.
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