Def – Ai lavoratori della scuola l’aumento di 80 euro in busta paga non basta
Gli interventi sull’Irpef che il Consiglio dei Ministri varerà questa sera riguardano solo la metà dei lavoratori di un settore che ha il contratto fermo al 2009: le buste paga di un milione di docenti e Ata risultano largamente inadeguate rispetto all’inflazione, regredite come potere d’acquisto e nemmeno paragonabili agli altri Paesi economicamente sviluppati.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): per adeguarli servirebbero 25 mila euro di arretrati e 615 euro di aumento a docente.
Per i dipendenti della scuola gli interventi sull’Irpef che il Consiglio dei Ministri varerà questa sera, attraverso l’approvazione del Documento di economia e finanza, per garantire 80 euro agli stipendi inferiori a 1.500 euro può essere considerato solo un acconto. A sostenerlo è l’associazione sindacale Anief, che con l’occasione ricorda al Governo che le buste paga del personale della scuola sono largamente inadeguate rispetto all’aumento del costo della vita. Se si guarda all’ultimo biennio sono persino regredite in termini di potere d’acquisto. E non possono essere nemmeno paragonabili agli altri Paesi economicamente sviluppati.
Per dimostrare tutto ciò, l’Anief ripercorre l’evoluzione dei sempre più “magri” stipendi di quasi un milione di docenti e Ata della scuola italiana. Il loro contratto è fermo ormai da cinque anni, dal 2009, come disposto dalla Legge Tremonti 122/2010 e poi dalla proroga voluta dal Governo Letta con il D.P.R. 122/2013. Gli stessi scatti per il biennio 2010-2011, di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi, sono stati alla fine pagati ma ai valori del 2009. E comunque con risorse interne alla stessa scuola, ovvero con il taglio di 50.000 posti di lavoro e con la riduzione di un terzo del MOF (- 500 milioni di euro).
A questo si aggiunga che tra il 2007 e il 2013 l’inflazione è salita al 12%, mentre gli aumenti disposti dall’ultimo contratto collettivo nazionale 2006-2009 si sono fermati all’8%, un punto in meno di tutto il pubblico impiego (9%). La stessa indennità di vacanza contrattuale – l’anticipo sugli aumenti di stipendio in attesa del rinnovo contrattuale – sarà ancorata al 2017 ai valori del 2009 mentre lo stipendio dei lavoratori privati (dati Aran di pochi giorni fa) è aumentato nell’ultimo anno ancora di quasi due punti percentuali,
Per questi motivi gli 80 euro, peraltro riservati solo a circa metà di dipendenti della scuola, rappresentano appena un “assaggio” di quello che i dipendenti della scuola italiana hanno pieno diritto di percepire. Come arretrati e a regime. Altrimenti non si parli più, come è solito fare anche questo Governo, di rilancio dell’istruzione. Basta dire che se si fossero applicati i parametri europei nella paga dei nostri insegnanti da quando è stato bloccato il contratto e si fossero adeguati gli stipendi al costo dell’inflazione, il Governo avrebbe dovuto mettere nelle finanziarie, per onorare il contratto, almeno 25 mila euro di arretrati per ciascun insegnante.
Gli 80 euro regalati sono inferiori a quanto sarebbe dovuto per contratto (93 euro) al minimo sindacale, cioè ai livelli dell’inflazione certificata, che è sempre più bassa di quella reale, e otto volte inferiore rispetto all’armonizzazione degli stipendi italiani a quelli della media OCDE (615 euro). Se allarghiamo il confronto ai Paesi più economicamente sviluppati dell’area OCDE, un docente italiano guadagna molto di meno a fine carriera: 8.000 euro, e lavora soltanto 30 ore in meno. E se si considera che il 60% del personale è over 50, si comprende come la categoria sia la più maltrattata d’Europa.
Non si parla dei 100.000 euro lordi annui dei colleghi del Lussemburgo o delle 50.000 sterline dei colleghi inglesi: lo stipendio medio dei docenti italiani (30.000 euro lordi) è sceso di mille euro negli ultimi sei anni e tutto per colpa del blocco dei contratti nel pubblico impiego. Una scelta, purtroppo, condivisa da diverse organizzazioni sindacali che hanno firmato, nel febbraio 2011, un’intesa con il Governo per applicare la riforma Brunetta (d.lgs. 150/2009) già dal prossimo rinnovo contrattuale e cancellare gli stessi scatti di anzianità, e che sembra condivisa dal nuovo ministro Giannini, che ha più volte dichiarato di voler abbandonare il sistema della progressione di carriera per anzianità (scatti) per finanziare con il fondo d’istituto, oggi ridotto di un terzo rispetto al 2010, il merito di pochi eletti, sempre che trovi i soldi (nuovi tagli) e un sistema oggettivo di valutazione.
“A conti fatti – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – sesi dovessero adeguare gli stipendi sotto i 25 mila euro al solo costo dell’inflazione certificata nel periodo 2007-2013 bisognerebbe assegnare 93 euro lordi al mese. Ma dall’anno 2010: altro che 80 euro da maggio, il Governo dovrebbe mettere sul piatto 5 mila euro lordi di arretrati a dipendente”.
“Ma se si dovessero rapportare gli stipendi a quelli dei colleghi Ocde, a parità di lavoro nelle superiori, da quando è stato bloccato il contratto, la cifra quintuplica perché – continua Pacifico – a fine carriera gli stipendi dei nostri insegnanti sono inferiori di 8 mila euro: quindi, servirebbero subito 5 miliardi. E ne servirebbero altri 20 per adeguare gli stipendi degli insegnanti italiani alla media dei Paese dell’Ocde. Altro che i3,5 miliardi prelevati dalla spending review”.
“Per tutte queste ragioni – conclude il sindacalista Anief-Confedir – abbiamo deciso di adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per tutelare non soltanto il diritto a un contratto, al lavoro e a una giusta retribuzione ma anche alla parità di trattamento tra i lavoratori italiani ed europei. Esiste anche un’Europa dei Diritti e non soltanto del pareggio di bilancio”.
Chi è interessato ad aderire al ricorso collettivo, per avere aumenti adeguati e non “acconti”, può scrivere a r.stipendio@anief.net