Delega su valutazione e competenze: superficialità e irresponsabilità

“Nelle classi finali della secondaria di I e II grado la prova Invalsi è requisito per l’ammissione all’Esame, ma non influisce sul voto finale” risponde alla delega ricevuta dal Governo in materia di valutazione e certificazione delle competenze.

Il mugugno che il mondo della scuola riserva alle prove centrali standardizzate appare sullo sfondo: un contentino?

Ben diversa sarebbe stata la decisione programmatica se la problematica fosse stata studiata avendo a riferimento il contesto generativo dell’Invalsi.

La legge n. 53/2003, origine dell’istituto nazionale, confligge con la legge n. 107/2015.

Una contrapposizione dichiarata: la denominazione dell’istituzione, espressione del suo orientamento, è stata modificata. Non più “Sistema educativo di istruzione e formazione”, ma “Sistema nazionale di istruzione e formazione”.

La formulazione della finalità del sistema scolastico enunciata dalla legge n. 53/2003 è inequivocabile mentre, quella del 2015, è confusa e sbagliata: i mezzi sono equiparati ai fini [CFR paragrafo 7].

Come si può progettare la riforma della scuola se non si sa dove si vuole andare?

La legge del 2003 finalizza il servizio alla promozione di capacità e competenze, generali e specifiche, traguardo da perseguire con l’utilizzo strumentale di capacità e abilità mentre la “buona scuola” non affronta la vitale problematica.

Il Miur non ha accettato la subordinazione degli insegnamenti ai traguardi di sistema: il Decreto Ministeriale con le indicazioni nazionali non rispetta i vincoli posti dal Decreto del Presidente della Repubblica concernente i regolamenti di riordino; l’ampio repertorio di competenze generali in essi contenuto è stato cestinato.

L’ordine gerarchico delle norme è stato infranto.

Le competenze specifiche sono state stilate indipendentemente dalle competenze generali.

La distinzione tra competenze generali e competenze specifiche discende dalla visione della scuola delineata dal TU 297/94: il sistema organizzativo risulta strutturato.

L’organo strategico è il consiglio d’istituto che “elabora e adotta gli indirizzi generali” e li esprime sotto forma di competenze generali.

Il collegio dei docenti “programma l’azione educativa” per identificare le capacità sottese ai traguardi elencati dal consiglio di Istituto e per formulare e validare ipotesi operative.

Il consiglio di classe armonizza i traguardi indicati dal collegio con le caratteristiche delle classi con cui interagisce per ideare percorsi unitari.

A valle della scomposizione del problema formativo si colloca la progettazione didattica del docente che, oltre a rendere concrete le indicazioni del consiglio di classe, trasmette una precisa immagine della disciplina insegnata.

La legge 107 appiattisce e banalizza la funzione della scuola.

La struttura decisionale prescritta dalla legge del 1994 attribuisce al consiglio di classe la responsabilità del successo formativo mentre, la legge del 2015, che vede il servizio parcellizzato, premia il singolo docente.

La “buona scuola” conferma e rinforza la sistematica e pluriennale disobbedienza delle scuole che hanno difeso la tradizionale forma del servizio: unidirezionale e orientata alla trasmissione delle conoscenze.

Se la questione Invalsi fosse stata collocata in questo scenario sarebbe apparsa nitida l’origine della contestazione dei test nazionali. Questi sono elaborati, utilizzando conoscenze e abilità, per far emergere comportamenti che corrispondono a competenze generali, categoria sconosciuta alla scuola in atto.

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