L’ormai famoso decreto Caivano è stato del tutto deludente, ma d’altra parte coerente con il pensiero di molti degli appartenenti all’attuale Governo, convinti che con la repressione si ottiene tutto, ma soprattutto convinti che il pugno duro paghi dal punto di vista dei consensi elettorali.
In realtà con la sola repressione si ottiene molto poco. Basti vedere i dati relativi alla recidiva nei reati da parte di chi ha subito anni di carcere puramente punitivo, confrontati con quelli di chi ha vissuto esperienze di lavoro, educazione, istruzione e giustizia riparativa.
A maggior ragione allora se si tratta di minori adolescenti, a volte ancora frequentanti o appena usciti dalla scuola media, i quali intorno a sé non vedono altro che degrado, in territori dominati dalla criminalità o in periferie urbane, indifferentemente dal fatto che siano del sud o del nord Italia, dove i modelli di riferimento sono gli spacciatori ad ogni angolo di strada e i passatempo più ambiti sono le risse, i pestaggi, gli stupri e le aggressioni a scopo di rapina.
I fatti di Palermo, di Caivano o l’omicidio del musicista ventiquattrenne di Napoli si possono prevenire non minacciando più anni di carcere, per quanto la presenza delle forze dell’ordine e la certezza del diritto siano fondamentali, ma soprattutto con la presenza di più scuole, insegnanti, assistenti sociali, educatori dentro e fuori le scuole, servizi di psicologia e neuropsichiatria efficienti nelle ASL, cioè tutto quello che soprattutto in questi ultimi quindici anni è stato ridotto, con le conseguenze che vediamo.
Sconcertante peraltro vedere che, dopo tutte le cronache di questa estate, nel primo collegio docenti si scopre che continua ad essere ridotto il numero degli insegnanti nella scuola primaria e ai bambini non potranno più essere garantite le 40 ore settimanali.
Inoltre è stata chiusa una scuola media quattro anni fa e un’altra rimarrà chiusa per almeno tre anni, nella speranza che venga ricostruita con i fondi del PNRR.
Tutto questo nel quartiere Barriera di Milano di Torino, dal quale provenivano i ragazzi che hanno reso disabile uno studente di medicina, lanciando una bici elettrica dall’alto dei Murazzi e che fornisce quasi la metà degli ospiti del carcere minorile di Torino.
Dobbiamo quindi riempire ancora di più queste carceri o non è forse meglio che lo Stato si faccia carico dei servizi di base per la prevenzione?
Non si può infatti pensare di affidarsi esclusivamente al terzo settore.
Così si può vedere se lo Stato c’è, e non uno Stato “nemico”, ma uno stato che sta al fianco dei cittadini.
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