La denatalità è un problema ormai radicato nel nostro Paese. Lo ripete spesso il ministro dell’istruzione Bianchi e lo ha fatto anche recentemente il Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di giuramento. Le statistiche Istat degli ultimi vent’anni parlano chiaro con un crollo del 28% rispetto all’inizio del millennio, 125.550 nati in meno, praticamente la popolazione di una grande città. Un calo coinciso nel 2008 con la crisi che si è registrata a partire dagli Stati Uniti. Con la pandemia poi la situazione è ulteriormente peggiorata con 10mila nati in meno nel 2021 e 5mila solo a gennaio (figli dell’inizio del lockdown del 2020).
Dati che purtroppo, confrontati al tasso di mortalità sopra il 10 per mille, portano al calo del numero dei residenti.
Il ‘Sole 24 Ore’ ha ulteriormente scandagliato le statistiche Istat andando ad analizzare i dati italiani provincia per provincia. Si va dal -40% di Barletta, Andria e Trani al -13% di Parma rispetto al 2002.un calo ormai generalizzato, anche se iniziato al Sud e poi si è diffuso in tutto il territorio. Oltre le tre città pugliesi, tassi molto alti anche a Enna per quanto riguarda il Sud, ma è molto presente anche la Sardegna. Colpa dello spopolamento a causa della difficoltà a trovare occupazione. Ma tassi alti si registrano anche al Nord (Bergamo e Biella su tutte) e al Centro (Prato e Massa Carrara). Nelle grandi metropoli non va meglio. Roma ha perso 15mila culle dal 2008, Milano, Bologna, Palermo e Catania hanno tassi superiori alla media.
Tra le province meno in crisi troviamo oltre Parma, anche Trieste e Bolzano. Un calo che non supera il 13%, merito anche del tessuto economico e dei servizi che offrono i territori.
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