Home Archivio storico 1998-2013 Personale Denudare gli alunni è lesivo della loro dignità: maestra condannata

Denudare gli alunni è lesivo della loro dignità: maestra condannata

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Far spogliare gli alunni per verificare se si sono resi artefici dei soldi scomparsi al collaboratore scolastico è lesivo della dignità dei bambini. Per questo motivo la Cassazione ha confermato la condanna emessa in appello a 20 giorni di reclusione per violenza privata nei confronti di Rosa Giovanna R., una maestra della scuola primaria Montessori di Sanremo che, nel novembre 2005, riservò questo trattamento agli alunni della classe quarta dopo che l’assistente scolastica si era lamentata perchè dal portafoglio cadutole a terra non c’erano più i settanta euro che aveva.
Gli “ermellini” – con sentenza 47103 della Quinta sezione penale, presidente Gaetanino Zecca – hanno stabilito che la decisione presa dalla docente ferisce la dignità dei bambini e il loro sentimento di riservatezza: la maestra doveva accontentarsi di aver perquisito zaini e tasche. La Cassazione scrive infatti che se per la prima parte delle perquisizioni, quella più soft relativa a zaini e tasche, la maestra poteva essere compresa – perchè poteva pensare di aver agito nell’ambito dei poteri disciplinari per far capire agli alunni quali sono le azioni che non devono compiere – la stessa giustificazione non può essere concessa per l’ordine di denudamento. Questo viene considerato una coercizione la cui gravità non può sfuggire a chi lo impartisce.
Ad avviso della Cassazione, correttamente quindi la Corte di Appello di Genova “ha escluso la consapevolezza della illiceità della condotta quanto all’attività di verifica dei beni degli alunni, per ravvisarla invece in un comportamento che incidendo sulla dignità e riservatezza personale degli stessi, si connotava in termini di ben diversa gravità, immediatamente percepibile anche da parte di chi poteva, in relazione al primo segmento di condotta, avere erroneamente ritenuto di agire all’interno dei poteri disciplinari finalizzati ad un retto comportamento scolastico”.
I giudici di terzo grado hanno ravvisato, quindi, che sebbene sia identico l’obiettivo perseguito con “l’attività di perquisizione dei beni e quella di ispezione degli alunni”, lo stesso non può dirsi quanto alla “materialità della condotta e della natura dei beni sacrificati”. Insomma un conto è rovistare tasche e zaini, controlli sui quali si può chiudere un occhio, mentre altra cosa, inescusabile, è sottoporre bambini a ispezioni corporali. La maestra condannata, nel novembre 2005, “aveva costretto gli alunni a restare in slip e canottiera, mediante minaccia consistita nel condurli a due alla volta all’interno del locale utilizzato dal personale scolastico e nell’intimare loro di togliersi i vestiti”. Assolta invece per non aver commesso il fatto un’altra docente, Piera P., condannata in appello con verdetto del cinque giugno 2012, anche lei a venti giorni di reclusione per violenza privata.