Il grande problema della scuola, ce lo dobbiamo dire, è che viene considerata solo una questione sindacale.
In altre parole, come amava ripetere Claude Allegre, indimenticabile ministro francese dell’istruzione, per innovare davvero la scuola va sconfitta la perversa alleanza tra mammuth (la burocrazia) e dinosauro (il corporativismo).
Quando cioè la burocrazia si fa dettare l’agenda dal corporativismo, non vi potrà essere soluzione ai mali radicali di una scuola che, ancora oggi, è chiusa a riccio su se stessa. Mentre, proprio perché servizio pubblico, è “per gli studenti”, per il loro e nostro futuro.
Quali sono i temi-tabù cari al corporativismo scolastico? L’appiattimento, l’omologazione, le mancate differenze di qualità di servizi tra presidi, tra docenti, tra Ata, tra scuole. Un appiattimento fatto passare per uguaglianza. Un bluff.
Ricordo un intervento, anni fa, di un docente libero dalle pastoie del “sindacalese”: “noi abbiamo derubricato la scuola a questione sindacale”. Non si esce da questi tabù se non si superano le dominanti pulsioni corporative. Per riconoscere e valorizzare, invece, la qualità, la passione, la dedizione della gran parte dei presidi, dei docenti, degli amministrativi.
Gli stessi che, nonostante tutto e tutti, nonostante i tagli, sono i protagonisti, ogni giorno, della “buona scuola”. Legati più alla missione educativa, di cui si sentono portatori, al di lá della diffusa indifferenza dei ministri pro-tempore, dei burocrati che ancora oggi credono che il diritto amministrativo sia l’unico filtro della loro azione per il nostro sistema formativo, dei politici che rincorrono solo gli effetti annuncio. Nonostante tutto e tutti.
Ma questa valorizzazione non può non passare attraverso, ponendo fine alle ope legis, l’introduzione dell’etica della responsabilità personale, ai vari livelli, in un quadro di effettiva autonomia funzionale: scuole, come già gli ITS, centrate su delle Fondazioni.
Scuole, dunque, davvero autonome.
Non ci potrà, ad esempio, essere valutazione del merito dei presidi e dei docenti senza una assunzione sussidiaria di responsabilità, sulla base di standard, obiettivi e verifiche su più livelli.
Lo sanno bene i presidi, ma anche tutti i docenti, gli studenti e le famiglie: chi sono, cioè, i bravi e quelli che scaldano solo la cattedra.
Premialitá, dunque, dei presidi, dei docenti e degli Ata, con programmi di implementazione qualitativa delle scuole. In particolare per quelle che registrano risultati non positivi nelle prove invalsi e Ocse Pisa, o che si trovano in aree disagiate. Per questo è fondamentale il concetto di “valore aggiunto” nelle indagini comparative.
Chi ricorda più la lettera del 4 novembre 2011 della Commissione Europea al nostro Governo?
Quale equipollenza dei titoli di studio, per favorire i nostri giovani?
Ed invece, cosa succede in Italia? A parte i soliti effetti-annuncio, ci ritroviamo con la riforma del Miur che ha privilegiato i super-stipendiati dirigenti generali a danno delle articolazioni periferiche, a danno di ogni coordinamento tra le scuole, a danno dell’effettivo servizio pubblico. Si è privilegiata, cioè, l’autoreferenza.
Che il ministro Giannini abbia nei giorni scorsi confermato la riorganizzazione del Miur firmata dalla Carrozza la dice tutta sulla forza della burocrazia ministeriale sui ministri pro-tempore.
Che poi questi ministri, come anche i sottosegretari, non ne sappiano niente di scuola, ci conferma la loro poca significanza, rispetto all’incarico loro assegnato. In altri termini, la spending review sfruttata per riaffermare il centralismo burocratico ministeriale.
Basterebbe applicare la legge sulla autonomia, messa in naftalina da 15 anni.
Ed invece? A fronte di una disoccupazione giovanile che oggi è al 42%, dei Neet, del 44% di laureati che ammettono che hanno sbagliato scelta di scuola superiore, di tante lauree senza mercato del lavoro, la casta ministeriale è riuscita ad imporre prima alla Carrozza e oggi alla Giannini la cancellazione della Direzione Generale sull’Istruzione tecnica, l’unico coordinamento oggi fondamentale per tutte le tematiche sulla cultura del lavoro.
La follia ministeriale ha fatto invece quest’altra scelta strategica (?!): ha preferito mantenere l’inutile direzione generale per il “personale di diretta collaborazione”!
Se, in poche parole, si vogliono affrontare i temi concreti che stanno rendendo sempre più complicato questo mondo della formazione, vanno riformulate le domande sulla realtà concreta della scuola, sulla sua dimensione culturale, sulla sua governance, sul rapporto scuola-lavoro.
E’ finito il tempo delle sole logiche corporative, del “sindacalese”.
Per ripensare, dalle fondamenta, invece il significato e valore del “servizio pubblico”, anche in termini di “cultura dei risultati”, di efficacia e pertinenza di questo “servizio”.
Non è più possibile oggi limitare l’approccio a questi temi considerando la scuola solo come una sorta di “welfare secondario” che deve assicurare stabilizzazione ai precari e lavoro ai disoccupati intellettuali.
A parte le inchieste alla Gianna Fregonara, moglie di Enrico Letta, e poche altre, perché sui nostri mass media la scuola non è ancora considerata (come avviene sul Times, su Le Monde e su El Pais) una questione nazionale?
Perché non viene letta come effettiva domanda sul futuro dei nostri figli, ma solo come una questione sindacale?
Giusto parlare degli scatti di anzianità. Ma nessuno che si chieda perché questi scatti sono oggi l’unico modo per aumentare lo stipendio, sapendo che, comunque, così non si premiano i bravi, ma solo i mediocri? Perché sacrificare la gran parte dei bravi per salvare i pochi mediocri, che non sono adatti ad insegnare? All’interno delle scuole tutti sanno chi sono i bravi e chi no.
Non solo. Perché salvaguardare i pochi non bravi, e penalizzare nel contempo tanti supplenti in gamba che sono precari solo perché si preferisce l’attuale ipocrisia? Possibile che non si comprenda che così facendo si allontano dall’insegnamento i giovani migliori, mentre la scuola rischia di essere scelta solo da coloro che non hanno alternative nel mondo del lavoro?
Perché impedire, soprattutto, ai nostri ragazzi di avere i migliori insegnanti?
La vera riforma della scuola è la sua “deperonizzazione”.
È riscoprire il valore del suo essere “servizio pubblico”.